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Quando la popolazione umana supererà la capacità del Pianeta Terra?

Oggi è molto diffusa l’idea che la sovrappopolazione umana sia un problema: che aumenti il riscaldamento globale,  i cambiamenti climatici e le malattie, per citarne alcuni.  

Tuttavia, in realtà, maggiore è la popolazione umana, minore è la sofferenza che ognuno di noi sopporta individualmente.

Inoltre, non percepiremmo la sovrappopolazione come un problema se migliorassimo i nostri atteggiamenti reciproci,  collegandoci positivamente gli uni agli altri, al di sopra delle nostre pulsioni egocentriche e individualistiche.

In primo luogo, in relazione all’affermazione: “più popolazione c’è sul pianeta, meno sofferenza assorbiamo”… Dobbiamo innanzitutto capire che nel mondo non esiste il concetto di persone in eccesso.

Non solo il nostro pianeta può far fronte a  molte più persone, inoltre una popolazione umana più elevata non equivale a una maggiore sofferenza. Invece, se vista dalla  prospettiva dello sviluppo dell’umanità verso il suo stato futuro unito, la formula appare così:

La quantità di popolazione divisa per la quantità di sofferenza, eguaglia la nostra capacità di esercitare la libera scelta, per connetterci al di sopra dell’ego.

In altre parole, se ci sono più persone, allora il totale della sofferenza si suddivide tra loro, e come risultato, tutti soffrono meno. Per esempio, diciamo che l’umanità ha bisogno di sopportare un milione di tonnellate di sofferenza ad un certo livello del suo sviluppo. Allora che cosa preferireste: essere parte di un’umanità di otto miliardi di persone che deve affrontare quel milione di tonnellate di sofferenza, o far parte di un’umanità di due miliardi di persone che si assume questo fardello?  È chiaro che sceglieremo l’opzione della minore sofferenza. 

Come funziona questo? Per comprenderlo, abbiamo bisogno di una visione a volo di uccello sullo sviluppo dell’umanità.

Attualmente ci troviamo in un processo che ci porta  ad un futuro dove l’umanità sarà connessa come un unico organismo, in cui ci sentiremo più vicini gli uni agli altri di quanto lo siano le nostre famiglie.  

Oggi siamo ad un bivio: possiamo continuare a seguire la strada della nostra crescente natura egoistica, nella quale cerchiamo di realizzarci in un contesto di problemi personali, sociali e globali, che si intensificano progressivamente; o possiamo esercitare la nostra libera scelta ed impegnarci in questo processo in modo positivo, connettendoci al di sopra della nostra natura egoistica e superando i problemi. 

Se ci rendiamo conto della nostra libera scelta in questo processo, e iniziamo a connetterci sopra l’ego, allora  nessuna singola persona sul pianeta sarà in eccesso. 

Al contrario, ogni persona sarà considerata come una creazione molto preziosa, inseparabile dalla società, che porta una parte significativa del carico dell’umanità. Ogni persona sarebbe importante come le cellule e gli organi del nostro corpo, ognuno dei quali  lavora per il bene dell’intero organismo, prendendosi cura l’uno dell’altro nel processo. 

Non ci sono quindi persone superflue. Ciò che è superfluo è tutto il pensiero volto a limitare la crescita della popolazione. Invece di pensare a limitare la popolazione, dovremmo pensare a come possiamo guidare la nostra popolazione in rapida crescita verso una società connessa positivamente.  

Così facendo, ci renderemo conto della nostra capacità di esercitare la nostra libera scelta e di scoprire una nuova immagine della realtà superando ciò che percepiamo abitualmente nell’ego.

Contenuti scritti ed editati da studenti, basati sulle loro conversazioni con il Rav dr. M. Laitman.

Cosa pensate del Dolore?

Il dolore è la reazione del corpo ad ogni genere di disturbo corporeo. Ci avverte del pericolo e ci fa agire, per andare verso il piacere e allontanarci dal dolore, ci fa diagnosticare la causa del dolore, per  giungere a delle conclusioni e avanzare nella nostra vita verso nuovi stati.

Il dolore colpisce il nostro ego, il desiderio di trarre piacere a spese degli altri.  Possiamo provare dolore quando stiamo male, o quando entriamo in sintonia con qualcuno che sta male, o quando il dolore dell’invidia ci colpisce, quando vediamo che gli altri stanno meglio di noi. 

C’è un dolore che ci spinge da dietro, facendoci evolvere, e anche un dolore esistenziale che alla fine ci spinge in avanti verso una maggiore realizzazione.

Non proveremmo assolutamente nulla se non  fosse per il dolore. Che si tratti di un certo tipo di conflitto, di contatto o di pressione, ogni nostro sentire è costruito su una certa forma di dolore, e noi possiamo provare piacere, appagamento e gioia, solo dopo il dolore. 

Tuttavia possiamo superare il dolore. Quando ci innalziamo al di sopra dell’ego, cioè, quando superiamo la priorità dell’interesse personale a scapito degli altri, e passiamo al suo opposto, dando priorità al beneficio degli altri, solo allora possiamo vivere in un completo appagamento, senza vuoto, dove ci relazioniamo a tutto e a tutti con una sempre crescente integrità e amore. 

Contenuti scritti ed editati da studenti, basati sulle loro conversazioni con il Rav dr. M. Laitman.

Come possono gli uomini evitare di vergognarsi di se stessi?

Noi ci adattiamo costantemente a vari codici di comportamento per evitare di vergognarci.

Oltre a occuparci dell’essenziale della vita, ossia di avere cibo, un riparo, una buona igiene e di poterci dedicare alla famiglia, tutto il resto delle nostre azioni è motivato dal bisogno di evitare la vergogna.

La ragione di questa nostra necessità di evitare la vergogna deriva dalla base stessa della nostra esistenza, nel processo di formazione della nostra realtà.

La saggezza della Kabbalah, che spiega il processo di creazione ed evoluzione della nostra realtà, descrive che il Bore (la volontà di dare) creò la creazione (il desiderio di ricevere) e la riempì con la  luce (piacere, appagamento, godimento). Dopo aver provato il piacere della luce, la creazione si è resa conto che dietro il piacere provato c’era una qualità più grande: un datore del piacere. Il fatto di sentire che c’era un datore del piacere e c’era un ricevente del piacere ha fatto sì che la creazione provasse vergogna. In altre parole, la vergogna è la prima reazione della creazione quando sente il suo Creatore ed è quindi ciò che dobbiamo integrare per raggiungere la somiglianza con il Bore.

Ecco perché nel nostro mondo, che è emerso da questa interazione di dare-ricevere tra il Bore e la creazione, la sensazione della vergogna è alla base del modo in cui pensiamo e agiamo nella società.

Contenuti scritti ed editati da studenti, basati sulle loro conversazioni con il Rav dr. M. Laitman. 

 

Quale domanda dovremmo farci tutti noi oggi?

L’umanità deve riconoscere che ha sviluppato una società corrotta con ostilità e scontri nelle sue connessioni.

Oggi, dobbiamo fare una autoanalisi e farci domande serie su come e perché viviamo: Per che cosa viviamo? Qual è il senso della vita? Qual è il suo scopo? Che senso ha vivere? Si tratta  semplicemente di sopravvivere nei pochi anni che abbiamo a disposizione, o c’è qualcosa di più grande in cui vale la pena di investire?

Nei nostri primi 20 o 25 anni, cresciamo in ambienti di apprendimento. Poi lavoriamo abbastanza duramente per la parte successiva della nostra vita, e infine, all’età di 60 o 70 anni, iniziamo ad avvicinarci alla fine della vita.  

Nei nostri anni di lavoro, abbiamo dei figli che dobbiamo crescere e ai quali dobbiamo mostrare la strada della vita. Che cosa acquisiscono da questa società che noi abbiamo costruito?

È come se ci fossimo messi in acque turbolente e poi cercassimo di tenerci a galla in qualche modo per non affogare.

Infine, tuttavia, gli attriti e le difficoltà della vita ci conducono tutti  alle domande fondamentali sul significato e lo scopo della nostra vita e la sofferenza aumenterà finché non ci sottoporremo a un serio esame di noi stessi. 

Contenuti scritti ed editati da studenti, basati sulle loro conversazioni con il Rav dr. M. Laitman.

La sofferenza è una punizione di Dio?

La punizione da parte di Dio è una delle tante teorie che sono state elaborate per spiegare perché soffriamo, cioè che Dio ci punisce per certe azioni che abbiamo (o non abbiamo) compiuto nella nostra vita attuale o in quelle passate. Tuttavia, a prescindere dalle teorie, nessuno sa davvero perché soffriamo.

Soprattutto nell’epoca attuale, possiamo vedere che siamo interdipendenti e interconnessi a livello globale. Più ci evolviamo, più la nostra interdipendenza globale ci viene rivelata.

Viviamo in un unico sistema globale e ognuno di noi condivide una responsabilità reciproca per il benessere dell’intero sistema.

In modo analogo a come funziona il nostro corpo, sentiamo una ferita nel mignolo del piede come un dolore in tutto il corpo e, se si tratta di una ferita importante, richiede la nostra completa attenzione. È così che ci riveliamo sempre più spesso nel mondo di oggi.

Se comprendessimo e sentissimo tutta la portata della nostra interdipendenza, allora arriveremmo subito alla conclusione che dobbiamo sistemare i nostri legami: migliorare i nostri atteggiamenti reciproci come se fossimo membri di un’unica famiglia, anche più vicini. Se lo faremo, allora inizieremo a percepire che viviamo in un mondo assolutamente perfetto, privo di sofferenza.

Contenuti scritti ed editati da studenti, basati sulle loro conversazioni con il Rav dr. M. Laitman. 

Cos’è più importante: la compassione o l’empatia?

Con l’empatia possiamo sentire il dolore altrui e con la compassione lo sentiamo, ma siamo in grado di gestirlo. Questo perché la compassione viene dall’amore, che è la differenza principale tra le due. 

Secondo il dizionario Merriam-Webster, l’empatia è “l’azione di comprendere, essere consapevole, sensibile e sperimentare indirettamente emozioni,  sensazioni e pensieri, passati o presenti, dell’altro senza che questi siano stati comunicati in modo oggettivamente esplicito” e la compassione significa “la consapevolezza partecipe che comprende l’angoscia altrui insieme al desiderio di alleviarla”.

Con la compassione è come se entrassimo nel mondo dell’altro e sentissimo ciò che prova. Coltivando e nutrendo questa sensazione dentro di noi, potremmo entrare completamente in un altro mondo. Comunque non veniamo coinvolti in questo processo. In genere all’età di tredici o quattordici anni siamo in grado di risuonare con la sofferenza altrui. Se venissimo poi educati a come relazionarci con tali emozioni, allora potremmo portare un enorme cambiamento in meglio nel mondo.

Possiamo insegnare la compassione in modo che le persone imparino a comprenderla e a coltivarla sempre di più. Aumentando la compassione nella società, saremo in grado di condividere la sofferenza altrui, accettandola in parte su di noi e così raggiungere una condizione in cui la neutralizziamo.

Inoltre, non ci esauriremmo per aver apparentemente preso troppa sofferenza su di noi. Al contrario, la nostra maggiore compassione e simpatia neutralizzerebbe la sofferenza, suddividendola in porzioni più piccole e portando così sollievo agli altri.

La compassione condivisa con tutti porterebbe il mondo in uno stato di beatitudine globale, che è esattamente quello che abbiamo bisogno di raggiungere. Se falliamo nell’accrescere compassione nella società, ci aspetteranno problemi sempre più grandi in futuro. Questo perché l’ego continua a crescere mentre la natura ci forza a diventare sempre più interdipendenti. In altre parole, senza unire e senza condividere le nostre sofferenze, non saremo capaci di tollerare la crescente connessione tra noi, ossia sentiremo una pressione sempre maggiore sull’ego fino a quando diventerà insopportabile.

Secondo la saggezza della Kabbalah, la compassione ha una definizione più ampia rispetto a quella del Merriam-Webster. Suddivide la grande sofferenza che esiste nella realtà. La realtà consiste in un unico enorme desiderio di ricevere, che fu creato, del quale siamo tutti parte, e in una grande luce, che è la forza dell’amore, della connessione e della dazione, che ha bisogno di riempire il desiderio completamente.

Più prepariamo un approccio compassionevole verso questo desiderio, ad esempio con un’intenzione che non sia egocentrica ma mirata all’amare, a dare e a connettersi positivamente agli altri, allora più permetteremo alla luce, quella forza positiva di amore, dazione e connessione, di penetrare il desiderio alleviando le nostre sofferenze, portando pace e armonia. In altre parole, il grande desiderio di ricevere su cui si basa la nostra realtà può essere totalmente soddisfatto solo se le nostre intenzioni puntano al beneficio altrui.

Perciò imparando come diventare compassionevoli, possiamo accelerare il tempo necessario a raggiungere l’equilibrio tra noi e con la natura. Divideremmo allora la differenza tra l’appagamento assoluto e il vuoto tra ognuno di noi e saremmo in rotta verso uno stato di beatitudine: sentire una contraddizione, un’impossibilità e un grido interiore che si trasformano in un nuovo tipo di piacere e gioia superiore. In una condizione del genere, non c’è differenza tra dolore e piacere perché si uniscono come fossero uno. In altre parole, in un livello più elevato di realtà dove siamo più connessi correttamente, il dolore diventa piacere, perché li compensiamo.

La sofferenza ci viene data al fine di invertirla in piacere. Più grande è il dolore, di conseguenza, più grande è il piacere. Quando sapremo bilanciare questi opposti, arriveremo in un assoluto nuovo tipo di piacere e sensazione della realtà.

Il prezzo dell’adozione di una mentalità da vittima

Una persona con una mentalità da vittima tende a sentirsi vittima delle azioni nocive degli altri. Sebbene alcune persone siano state effettivamente vittime di azioni sbagliate, sviluppare una mentalità vittimistica significa fissarsi sul dare la colpa delle proprie disgrazie alle azioni sbagliate degli altri.  Il problema dello sviluppo di questa mentalità è che vedersi come una vittima perenne impedisce di risollevarsi e di avere successo nella vita. Per mantenere l’immagine di vittima, le persone devono rimanere eterni perdenti, ma in questo caso a perdere saranno soltanto loro.

È molto difficile stabilire dove tracciare esattamente il confine tra l’incolpare gli altri per i propri guai e il cominciare a sfruttare il torto subito per ottenere vantaggi ingiustificati. In ogni caso, perpetuare un’immagine di sé come vittima impedisce di ricostruire la propria vita e di realizzare il proprio potenziale.

Pertanto, per aiutare le vittime di ogni tipo di comportamento scorretto, dovremmo concentrarci sugli aspetti positivi piuttosto che su quelli negativi. Invece di rafforzare e perpetuare la loro immagine di soggetti passivi e deboli, la cui vulnerabilità è stata sfruttata, dovremmo insegnare alle persone che sono state ferite da individui scorretti che possono sempre avere successo, indipendentemente dalle circostanze.  Dovremmo incoraggiare le persone e aiutarle a credere in se stesse. 

Lo stesso approccio dovrebbe essere applicato alle popolazioni vittime di sfruttamento e abusi. Invece di insegnare loro a concentrarsi sui torti subiti, dovremmo aiutarli ad acquisire fiducia in se stessi e a ottenere ciò che non credevano di essere in grado di conseguire. Sebbene non possiamo cambiare il passato, possiamo scegliere il futuro, e su questo dobbiamo concentrarci.

L’attivismo di alcuni leader d’opinione e di altre figure pubbliche “a favore” di settori della società che hanno subito delle vittime non è altro che una manipolazione. La realtà dimostra che questi “paladini degli afflitti” non li aiutano davvero e, alla fine, le vittime rimangono a mani vuote e paralizzate da una mentalità vittimistica che garantisce loro di non avere nulla in futuro perché hanno scelto un approccio sbagliato.

Anche se ci sono certamente persone che hanno sbagliato, cercare vendetta non aiuterà le vittime. Dovrebbero invece concentrarsi sulla costruzione di una società giusta e coesa per tutti.

Se creiamo solidarietà sociale, risolveremo completamente il problema dello sfruttamento e della violenza. Se vogliamo l’uguaglianza, dobbiamo lottare per ottenere le stesse opportunità di successo, e ci riusciremo se creiamo una società i cui membri si sentano legati gli uni agli altri, coltivino la solidarietà e siano orgogliosi di vivere in una comunità coesa e amorevole.

Il giorno della Vittoria: un triste ricordo

Sabato 7 maggio, ricorreva l’anniversario del giorno in cui la Germania nazista firmò la sua resa ufficiale agli Alleati. Il giorno seguente, l’8 maggio, fu dichiarato Giorno della Vittoria in Europa. L’Unione Sovietica proclamò il giorno successivo, il 9 maggio, Giorno della Vittoria, ma in ogni caso la guerra continuò fino alla resa del Giappone, il 15 agosto 1945, dopo lo sganciamento di due bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Se c’è mai stata una vittoria triste, è quella degli Alleati nella Seconda Guerra Mondiale. Non solo questa guerra è stata la peggiore di tutte le guerre, ma non abbiamo imparato nulla da essa, se non a costruire la peggiore arma di sempre. Se ne avremo la possibilità, non ho dubbi che scoppierà un’altra guerra mondiale, e sicuramente sarà nucleare.

L’unico Paese che potrebbe aver tratto una buona lezione dalla guerra è il Giappone. L’articolo 9 della Costituzione giapponese vieta la guerra come mezzo per risolvere le controversie internazionali. È stato promulgato il 3 maggio 1947, dopo la Seconda Guerra Mondiale, e stabilisce che le armi esplicitamente offensive, come i missili balistici e le armi nucleari, sono proibite. Sebbene la costituzione sia stata imposta dagli Stati Uniti occupanti nel periodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale, il Giappone ha mantenuto il suo esercito come forza difensiva e si è astenuto dall’usare armi offensive come missili balistici o armi nucleari fino ad oggi.

Purtroppo, non vedo l’approccio giapponese alla guerra attecchire al di fuori del Giappone. In realtà, anche la lezione del Giappone è solo parziale, perché evitare non è una correzione. La correzione, che è l’unico modo per prevenire la guerra nel lungo periodo, deve includere un cambiamento radicale nelle nostre relazioni, non solo un impegno ad astenersi dall’uso di armi offensive e di distruzione di massa.

Non è solo la Seconda Guerra Mondiale a rendermi pessimista. Per migliaia di anni, l’umanità ha vissuto di spada. Non appena le nazioni concludono una campagna, iniziano a sviluppare armi più letali e sinistre per i loro conflitti futuri. Non c’è nemmeno un pensiero in direzione della pace, ma solo in direzione di una vittoria più decisa.

Nel secolo precedente, l’umanità ha sperimentato le forme più orrende di uccisione di massa, anzi di sterminio degli esseri umani. Nella Prima Guerra Mondiale è stata introdotta la guerra chimica e nella Seconda Guerra Mondiale la guerra nucleare è diventata uno strumento dell’arsenale degli eserciti. Eppure, nonostante le terribili conseguenze dell’uso di queste armi, non solo non sono state vietate, ma sono state incrementate e la loro potenza è cresciuta di centinaia di volte rispetto al potenziale già mostruoso mostrato in Giappone. Sembra che nessuna agonia, per quanto terribile, possa far desistere l’umanità dalla distruzione reciproca.

Quando arrivai a studiare con il mio maestro, RABASH, egli mi insegnò ciò che suo padre, il grande cabalista e pensatore Baal HaSulam, gli aveva insegnato: la natura spinge l’umanità in avanti “in due modi: il ‘sentiero della luce’ e il ‘sentiero della sofferenza’, in un percorso che garantisce il continuo sviluppo e progresso dell’umanità”.

In realtà, però, il cammino della sofferenza non ci insegna nulla, come è evidente. Ci convince solo a cercare una strada migliore, o almeno meno dolorosa.

Al contrario, il sentiero della luce consiste nello sviluppare i valori fondamentali che rendono una società prospera e forte: solidarietà, coesione e interesse reciproco. Al loro livello più alto, sono chiamati: “Amore per gli altri”. Tuttavia, anche prima che una società raggiunga il grado finale di accudimento, le emozioni positive tra i suoi membri la consolidano e assicurano pace e prosperità a tutti i suoi membri.

Negli anni ’30, molto prima che qualcuno immaginasse la possibilità di una bomba nucleare, Baal HaSulam scrisse queste parole stupefacenti per dimostrare all’umanità che dobbiamo imboccare la via della luce: “Non stupitevi se mischio il benessere di una particolare collettività con il benessere del mondo intero, perché in effetti siamo già arrivati a un punto tale in cui il mondo intero è considerato una collettività e una società. Cioè, … ogni persona nel mondo trae il midollo della sua vita e il suo sostentamento da tutte le persone del mondo”.

Se lo scriveva negli anni Trenta, cosa possiamo dire oggi, che la nostra interdipendenza è aumentata di molte volte? E se siamo davvero così dipendenti gli uni dagli altri, come possiamo osare pensare di usare armi nucleari gli uni contro gli altri?

Eppure, noi osiamo e siamo incuranti come se i nostri destini non si influenzassero a vicenda. Pertanto, finché non riconosciamo che la pace è il nostro unico modo di sopravvivere, fisicamente, siamo condannati a vivere di spada o, come ha descritto Baal HaSulam: “Così, l’umanità viene stritolata in una agitazione atroce, e le lotte e le carestie e le loro conseguenze non sono cessate finora”. Peggio ancora: “Possiamo vedere che nella misura in cui l’umanità si sviluppa, si moltiplicano anche i dolori e i tormenti che ci procurano il sostentamento e l’esistenza”. Questa è la prova, dice Baal HaSulam, che la natura “ci ha ordinato di praticare con tutte le nostre forze… l’elargizione agli altri… in modo tale che nessun membro tra noi lavori meno della misura richiesta per assicurare la felicità della società e il suo successo”.

Didascalia della foto: Giorno della Vittoria – Londra – 1946 (Reuters)

Alla fine esiste solo Uno

In tempi come questi, possiamo veramente sentire quanto Abramo sia stato un rivoluzionario. Quasi 4.000 anni fa, ha scoperto che alla fine c’è solo una forza che ha creato e governa tutta la realtà. In un’epoca in cui i suoi compatrioti erano in conflitto tra loro, uccidendosi a vicenda sui pendii maledetti della Torre di Babele, disse loro che c’è solo una forza che governa il mondo, una forza di unità, e che se la emulassimo, anche noi saremmo come uno.

La gente gli rise in faccia e continuò a litigare. Quattro millenni più tardi, ci troviamo ancora nella stessa condizione. Ma, alla fine, esiste ancora un’unica forza e se non cerchiamo di emularla soffriremo per chissà quanti millenni ancora.

Proprio quando scoppia l’odio, dobbiamo ricordare a noi stessi che sta scoppiando in modo da elevarci al di sopra di esso e chiedere la connessione, proprio come Abramo, chiedere che l’amore regni sull’odio. Certo, siamo semplici mortali e non possiamo elevarci al di sopra del nostro odio.  La forza che ha creato e sostiene tutta la realtà l’ha creata corrotta e piena d’odio, e solo questa forza può renderla amorevole.

È stato fatto prima, diverse volte, quando il popolo d’Israele si è unito ai piedi del monte Sinai “come un solo uomo con un solo cuore”, o quando il re Salomone disse: “L’odio suscita conflitti e l’amore copre tutti i crimini” (Prov. 10:12). Non abbiamo bisogno di altra vittoria se non quella di coprire l’odio con l’amore.

Se non possiamo rivolgerci al Bore e chiederGli di correggerci, possiamo e dobbiamo chiederGli di darci il desiderio di chiedere a Lui. È scritto: “Metti nei nostri cuori la comprensione, in modo che possiamo capire e sapere come ascoltare, imparare e insegnare la tua legge con amore” (dalla preghiera ebraica Shema).

Le situazioni difficili che sorgono tra di noi in questi tempi fatidici, non accadono per farci litigare come bambini. Accadono perché ci rivolgiamo all’unica, sola forza in tutta la realtà, il Bore, e chiediamo che ci faccia tutti uno, uguale a Se Stesso.

L’aspirazione per l’unità nasce dalla radice più elevata della creazione, dalla sua origine. L’idea che essere uno sia la soluzione a tutti i nostri problemi e il nostro stato più felice, ci arriva poiché questa è davvero la nostra radice e quando siamo uno non esiste altro che pace e pienezza.

Tutti gli stati di separazione e divisione quindi, si scatenano per farci connettere e unire ancora di più. Ora che il grande odio è stato rivelato, è il momento di fare grandi sforzi per unirsi. Se preghiamo per la risoluzione dei problemi di tutte le persone nel mondo, metteremo fine ai duri decreti che affliggono il mondo. Se mettiamo la connessione al di sopra della separazione e l’amore al di sopra dell’odio, copriremo i nostri crimini con amore e guariremo i mali dell’umanità. 

Gli Hunger Games della guerra

Dopo un mese di guerra in Ucraina, si prevede una crisi alimentare mondiale senza precedenti. Le esportazioni di grano della Russia e dell’Ucraina insieme rappresentano quasi il 30% della produzione globale, mentre la Russia è il principale esportatore di fertilizzanti nel mondo. Pertanto, il conflitto minaccia di scatenare rapidamente una “tempesta perfetta” nell’agricoltura globale, influenzando la disponibilità di cibo e i prezzi. Alla sua base, dobbiamo renderci conto che la fame incombente non è il risultato di una mancanza di cibo, ma una conseguenza di un eccesso di egoismo umano.

Se consideriamo che circa 45 milioni di persone nel mondo sono già sull’orlo della carestia, e quasi 283 milioni di persone in 81 paesi sono ad alto rischio di insicurezza alimentare (secondo le stime del World Food Program), le previsioni per il futuro non sono promettenti. Una stretta energetica e l’aumento vertiginoso dei prezzi del gas naturale hanno inferto un duro colpo alla produzione alimentare e ai costi di trasporto.

L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura prevede un’impennata di almeno il 20% dei prezzi dei prodotti alimentari nei prossimi mesi, oltre alle interruzioni e agli aumenti dei costi dovuti alla pandemia COVID-19. Si prevede che la situazione aggraverà fortemente la sicurezza alimentare globale e creerà disordini sociali e instabilità.

Se il mondo avesse affrontato correttamente il problema della sicurezza alimentare, forse non avrebbe raggiunto una crisi tale da mettere in pericolo le provviste che potrebbero mettere milioni di persone in pericolo di fame. Avremmo potuto affrontare la situazione in modo sano e valutare ciò che abbiamo, quanto è necessario, chi manca e come distribuire al meglio le nostre risorse, come in una famiglia.

Il problema è che mentre il mondo è sempre più interdipendente, allo stesso tempo è diventato sempre più disconnesso. Nessuno pensa veramente al benessere degli altri. In alcuni luoghi, i cereali di base per il consumo saranno addirittura bruciati per mantenere alti i prezzi, facendo letteralmente morire di fame la gente in altri luoghi. Quindi la crisi alimentare che affrontiamo non è una questione di disposizioni limitate, ma la mancanza di preoccupazione e responsabilità reciproca tra di noi.

Questa non è la prima crisi alimentare che il mondo ha affrontato e non sarà l’ultima. I miliardi di dollari ricevuti dalle organizzazioni internazionali per affrontare la fame avrebbero potuto sfamare più volte il mondo intero, ma il problema non viene risolto perché non c’è un vero interesse a trovare una soluzione. La fame è un affare redditizio e un modo di dominare. Coloro che ne traggono profitto saranno felici di perpetuare la fame. Altri, in un’analisi a mente fredda, guardano addirittura la popolazione mondiale di 8 miliardi e pensano che sarebbe più facile e vantaggioso, nel complesso, occuparsi della metà di quel numero di persone, come accadeva cento anni fa quando si richiedevano meno risorse naturali.

A mio parere, finché non affrontiamo il cuore del problema, che è l’egoismo nella natura umana e la guerra tra interesse personale e interesse comune, non troveremo alcun rimedio ai nostri guai. Abbiamo finito le opzioni. Solo elevarsi al di sopra degli interessi egoistici per il beneficio comune può risparmiare all’umanità molti altri anni di inutili tormenti.

La crisi alimentare che affrontiamo dovrebbe costringerci a rivalutare le nostre priorità su come gestire i problemi globali. Solo quando le persone capiranno che tutti nella società dipendono da tutti gli altri e che il mondo è come un corpo in cui una grave malattia in uno dei suoi organi colpisce l’intero sistema fino al collasso, cominceremo a cambiare. In quel momento cominceremo a vedere atti di preoccupazione reciproca, e sistemi di supporto che sono stabiliti dalla comunità, dalle autorità e da tutti i responsabili per l’emergere di una nuova società di responsabilità reciproca. L’umanità semplicemente non ha altra scelta, non c’è altro modo per sopravvivere.