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Il miracolo di Hanukkah oggi

Unirsi al di sopra della miriade di conflitti che abbiamo oggi tra di noi, dalle guerre fisiche e dagli spargimenti di sangue fino alle infinite discussioni, accuse e intenzioni di farsi del male a vicenda con le parole, richiede in effetti un intervento divino, un miracolo.

Tuttavia, dovremmo anticipare tale miracolo. Affinché ciò avvenga, dobbiamo tutti aprire i nostri cuori gli uni agli altri e accoglierci a vicenda. Potremo così diventare un fronte unito con la sensazione della forza positiva della natura che entra nelle nostre connessioni.

Il vero miracolo di Hanukkah consiste nel liberarsi dalla nostra innata natura egoistica. È un passaggio completo dalla separazione all’unità, dall’odio all’amore per l’altro. Quando avverrà questa trasformazione, capiremo le ragioni dei nostri conflitti, coglieremo la differenza tra la dimensione materiale e quella spirituale e vedremo come le leggi della natura, leggi dell’amore, della dazione e della connessione, orchestrino il mondo e le nostre vite.

Spero che questo Hanukkah ci porti a capire che, unendoci, possiamo superare le nostre divisioni e, così facendo, diffondere l’idea che l’unità è la soluzione per ogni problema e crisi dell’umanità.

Di conseguenza, spero che sempre più cuori si uniscano in un cuore comune, fino a quando l’umanità intera non scoprirà la presenza dell’unica forza d’amore e di dazione che risiede tra tutti noi.

Contenuti scritti ed editati da studenti, basati sulle loro conversazioni con il Rav dr. M. Laitman. 

Perché è importante Rosh Hashanah?

Prima di parlare dell’importanza di Rosh Hashanah, il capodanno ebraico, è importante capire che le festività ebraiche non sono la tradizione di una particolare nazione o popolo. Sono piuttosto simboli di stati spirituali unici in cui raggiungiamo una qualità comune di amore e di dazione in livelli più elevati della nostra connessione tra di noi e con la natura.

Se raggiungiamo un certo livello di unità che è latente nella natura, allora celebriamo questo evento. Quando ci innalziamo un po’ di più al livello successivo di connessione tra di noi e con la natura, allora raggiungiamo di nuovo un nuovo grado di percezione e sensazione unificata della natura e celebriamo tale evento.

Le nostre decisioni non hanno alcun ruolo nel determinare le festività. Celebriamo invece il raggiungimento di certi livelli di equivalenza di forma che sono onnipresenti in natura. Non possiamo quindi cambiare queste festività.

La natura è una rete interconnessa e interdipendente di forze altruistiche. È un sistema unificato in cui ogni sua parte è completamente interconnessa. Noi esseri umani, invece, siamo le uniche parti della natura che vi si oppongono e vi resistono con il nostro desiderio egoistico di trarre beneficio per noi stessi a spese degli altri e della natura.

Se noi, l’umanità o almeno una massa critica all’interno dell’umanità, inizieremo a subire un processo di cambiamento della nostra qualità egoistica in una qualità altruistica simile a quella della natura, allora ci avvicineremo alla forma unificata della natura.

Un passo fondamentale in questo processo si chiama “riconoscimento del male”. Ciò significa che dobbiamo prima riconoscere la nostra natura egoistica innata che ci impedisce di sperimentare l’interezza che esiste in natura. Per cambiare la nostra natura egoistica in una natura altruistica, simile alla forza d’amore e di dazione della natura, è necessario un profondo esame interiore, che si chiama “preghiera”. In ebraico, pregare (“Lehitpalel“) significa “incriminare” (“Lehapil“) se stessi. Cioè, dobbiamo incriminare noi stessi, e tale confessione che precede Rosh Hashanah è chiamata “il mese di Elul”.

Durante questa analisi, vediamo il nostro attuale basso stato egoistico in confronto allo stato altruistico, esaltato e completo di amore, dazione e connessione, che desideriamo raggiungere. L’immenso abisso tra questi due stati dà origine a una preghiera, in cui ci giudichiamo ed esprimiamo un grande desiderio di cambiare la nostra intenzione egoistica in una altruistica, simile a quella della natura.

Scopriamo come la nostra natura egoistica ci trasformi in criminali insieme alla scoperta di una forza superiore e molto più grande dei nostri poteri egoistici, la forza altruistica della natura, verso la quale desideriamo avanzare.

Questo stato è chiamato “Rosh Hashanah”, l’inizio (“Rosh“) del nostro cambiamento (“Shinui“). È l’inizio di un nuovo ciclo di stati attraverso i quali progrediamo per diventare sempre più simili alla forza amorevole e generosa della natura.

Contenuti scritti ed editati da studenti, basati sulle loro conversazioni con il Rav dr. M. Laitman.  

Cosa significa Shavuot?

Shavuot significa il giorno del dono della Torah, che è il più grande evento che possa mai accadere.

Perché è il più grande evento di sempre?

Esso segna uno stato in cui alcuni uomini che vivevano le loro solite vite, ignare del motivo per cui erano vive, hanno ricevuto istruzioni, un metodo, su come vivere in modo ottimale nel nostro mondo, come scoprire chi erano veramente e che, se lo desideravano, potevano uscire dalla ristretta cornice di sentire questo mondo nei loro cinque sensi corporei, espandendo la loro percezione e sensazione per sentire un nuovo mondo.

Hanno chiamato il metodo che hanno ricevuto “la Torah”. Attraverso questo metodo, potevano scoprire una realtà molto più ricca e più ampia – la realtà eterna – con cui potevano connettersi e sentire.

Questo è ciò che ci dà la Torah. È un metodo per espandere la nostra percezione e che ci permette di scoprire la vera realtà in cui dimorano le forze dell’amore, della dazione e della connessione oltre alla realtà ristretta che percepiamo nei nostri cinque sensi corporei.

Shavuot è quindi una festa molto speciale. Segna una differenziazione di noi che viviamo come animali in questo mondo per diventare esseri umani nel senso più pieno del termine, cioè, coloro che escono dalla loro sensazione di questo mondo ristretto e transitorio ed entrano nel raggiungimento di una realtà vera, eterna e perfetta al di là i sensi corporei.

Dovremo quindi rispettare questa festa e cercare di raggiungere ciò che coloro che hanno conseguito quegli stati: i cabalisti, ci dicono al riguardo: che è uno stato di connessione “come un solo uomo con un solo cuore”, di mutuo sostegno e comprensione, con amore e di cura l’uno dell’altro, e dove sentiamo noi stessi esistere in un solo cuore.

Anche se ognuno di noi inizialmente vive nelle proprie qualità egoistiche, dove ospitiamo molti pensieri, desideri, decisioni e pinti di vista divisivi che resistono allo stato della nostra completa connessione reciproca, con il metodo della Torah, il metodo di come connetterci alla forza della natura superiore che ci influenza e ci cambia, noi possiamo elevarci dal nostro livello egoistico a un livello di eternità e perfezione.

Se non avessimo ricevuto il metodo della connessione chiamato “la Torah”, allora saremmo diventati completamente separati e non avremmo avuto l’opportunità di comprendere la qualità dell’amore, della dazione e della connessione. Saremmo rimasti come animali in questo mondo. Grazie a vari individui unici che hanno implementato questo metodo su se stessi, possiamo accedere e applicare lo stesso metodo su noi stessi.

Quando lo facciamo, sviluppiamo un senso per sentire la qualità dell’amore, della dazione e della connessione. Poi arriviamo a sentire che c’è una forza speciale che rivitalizza e illumina la connessione tra di noi.

Tutti gli uomini possiedono questo senso ma alcuni lo sentono più di altri, e il metodo che abbiamo ricevuto a Shavuot ci permette di svilupparlo finché non ci sentiamo attratti dal connetterci “come un solo uomo con un solo cuore”. Inoltre, coloro che sviluppano questo senso influenzano il suo risveglio negli altri, e come tale, sempre più individui si orientano sempre più verso di esso.

Cos’è questo senso? In generale, è un senso dell’amore.

Se ci manteniamo nell’inclinazione a raggiungere un amore comune l’uno per l’altro, allora sperimentiamo diversi stati in cui sentiamo la nostra disconnessione, con disprezzo e mancanza di rispetto reciproco, finché non scopriamo la forza dell’amore, della dazione e della connessione che ci unisce in quegli stati.

Diventiamo quindi una nuova nazione basata su un comune desiderio di connetterci nell’amore al di sopra delle nostre qualità separatrici, cioè una nazione che prima era inesistente in modo naturale e biologico.

È mia speranza che sviluppiamo davvero questo senso di amore, dazione e connessione usando il metodo della connessione che abbiamo ricevuto, e che arriviamo a ottenere questo nuovo senso prima, piuttosto che dopo. Quando lo faremo, sentiremo aprirsi davanti a noi una nuova realtà inclusiva, eterna e perfetta, una sensazione di armonia e pace che non possiamo nemmeno immaginare nei nostri attuali sensi terreni.

 

Contenuti scritti ed editati da studenti basati sulle loro conversazioni con il Rav dr. M. Laitman

Qual è il significato di Deuteronomio 5:15, in cui è scritto: “Ricordati che eri schiavo in terra d’Egitto e il Signore tuo Dio ti ha fatto uscire da lì”?

Secondo la saggezza della Kabbalah, lo stato di schiavitù in Egitto significa che siamo sotto il completo controllo del desiderio di godere solo per il proprio tornaconto, o in altre parole, dell’ego umano.
A partire da questo stato, intraprendiamo un viaggio interiore per correggere il nostro desiderio in modo da godere non egoisticamente, cioè solo per il nostro beneficio, ma per il beneficio degli altri e del Bore, che è un desiderio opposto al nostro: dare, amare e connettersi positivamente.
Questa inversione di intento è considerata una correzione della nostra natura ed è descritta nella Torah come l’uscita dall’Egitto e l’ingresso nella Terra d’Israele.
Tale correzione del nostro ego, che passa dalla priorità del beneficio di se stessi alla priorità del beneficio degli altri e della natura, descrive il percorso spirituale a cui siamo sottoposti fino al nostro stato finale eterno e perfetto, chiamato “la fine della correzione” (ebr. “Gmar Tikkun”).
In ogni fase di questo percorso spirituale, dobbiamo uscire dal nostro ego, chiamato “Egitto”, e iniziare gradualmente a rivelare la forza dell’amore e della dazione in natura, chiamata “Bore”. Questo ci porta a una grande gioia e a una grande sorpresa che il Bore ha preparato per noi.
Pertanto, il nostro bisogno di ricordare che eravamo schiavi in Egitto significa che eravamo nel desiderio di godere solo per noi stessi, che ci controllava completamente, e che il Bore ci ha fatto uscire dal nostro desiderio egoistico.
Avevamo bisogno di sentire che non potevamo uscire dal nostro desiderio egoistico se non connettendoci l’uno all’altro e raggiungendo una sincera richiesta reciproca , una preghiera, per uscire dal nostro ego. Ci è stato quindi concesso l’accesso a una nuova natura di amore, dazione e connessione positiva con gli altri attraverso la quale abbiamo scoperto una realtà armoniosa, pacifica e gioiosa.
Questa sensazione è molto speciale perché una parte di essa penetra nel nostro desiderio di godere e un’altra parte resiste al nostro desiderio. Con questo contrasto interiore, possiamo poi esaminare le forze che operano sulla nostra natura egoistica, se e quanto possiamo uscire dal controllo di queste forze e come la forza superiore, il Bore, ci concede questa capacità speciale.
Contenuti scritti ed editati da studenti, basati sulle loro conversazioni con il Rav dr. M. Laitman. 

Perché la Pasqua ebraica è importante oggi?

I Kabbalisti hanno un legame con la Pasqua importantissimo perché essa rappresenta l’uscita dalla nostra natura egoistica, dal desiderio di trarre vantaggi a spese degli altri e della natura, a causa del quale siamo separati dalla percezione dell’eterna e intera realtà in cui esistiamo.

Abbandonare la nostra ristretta percezione egoistica per passare a una percezione in cui esistiamo in una connessione positiva comune è l’inizio del cammino spirituale. Più ci evolviamo, più sentiamo che la nostra natura egoistica ci soffoca, portandoci a un crescente intrico di problemi e crisi.

Perché? Per far crescere in noi un nuovo desiderio: sottrarci alla nostra chiusura egoistica per andare verso un nuovo stato di connessione umana positiva.

Nel linguaggio della Kabbalah, questo cambiamento è descritto come il ripristino del vaso comune di Adam HaRishon, il nostro ritorno a un’anima comune in cui ci sentiamo tutti, tutta l’umanità, come parti di un unico enorme desiderio ricolmo di un’immensa forza d’amore e di dazione, che ci lega insieme in completa armonia.

È per questo motivo che i Kabbalisti considerano la Pasqua la più importante di tutte le festività. La parola che indica la Pasqua in ebraico, “Pesach“, significa “saltare” (pasach). Fare un salto significa passare da uno stato di ricezione egoistica a una dazione altruistica.

È davvero una festa speciale, in cui usciamo dal nostro egoismo e iniziamo un affascinante viaggio nel mondo spirituale.

Prepararsi alla Pasqua significa predisporre il nostro desiderio di voler includere tutti insieme come uno, che ciascuno esaudisca il proprio anelito più profondo, che i nostri pensieri e le nostre aspirazioni siano rivolti verso una meta puramente spirituale: connetterci tra di noi e con il Bore, la forza d’amore e di dazione che ci unisce.

Contenuti scritti ed editati da studenti, basati sulle loro conversazioni con il Rav dr. M. Laitman.

 

Qual è il significato di Purim nella Bibbia?

La storia di Purim descrive il quasi genocidio del popolo ebraico.

Haman considerò la divisione degli Ebrei come un’opportunità per sradicarli. “C’è un popolo sparso e disperso tra i popoli” (Ester 3:8). Haman disse che, secondo lui, gli Ebrei avrebbero potuto essere distrutti perché erano separati gli uni dagli altri. Tuttavia, Mordechai, l’eroe della storia di Purim, si adoperò per superare le divisioni tra gli Ebrei, e alla fine salvò loro la vita: “Gli Ebrei si riunirono per difendere la loro vita” (Ester 8:11).

Purim è importante per gli Ebrei di oggi come lo era per gli Ebrei della storia. Inoltre, riveste un’immensa importanza per la società in generale. Un aspetto importante che deve essere compreso sul significato di Purim per capire la sua rilevanza moderna è in relazione ad Haman: Chi o cosa è Haman nel nostro tempo? Ovvero, chi o cosa c’è dietro il crescente isolamento e la polarizzazione della società?

La risposta immediata, secondo i nostri istinti primordiali, è quella di attribuire la colpa a un presidente o a un gruppo di politici, finanzieri, dirigenti o altri cospiratori. Tuttavia, al di là del dito puntato, ciò che è davvero alla base della divisione sociale odierna è la mentalità divisiva che Haman rappresenta: il desiderio di cercare denaro, onore, controllo e potere a dispetto di tutti e di tutto.

Questa mentalità divisiva ci esclude gli uni dagli altri, ci separa, ci danneggia e maschera il male che ci facciamo a vicenda.

La tumultuosa atmosfera sociale di oggi ci chiama a cercare la nostra voce comune come umanità che condivide valori e scopi comuni. Se usiamo questa chiamata per connetterci un po’ al di sopra dei nostri istinti primordiali, allora possiamo creare un mondo molto più armonioso e pacifico.

Ogni volta che il popolo ebraico ha rischiato la rovina, è stata la nostra unità a salvarci. Possiamo usare la storia di Purim come promemoria eterno del fatto che la nostra unità può tirarci fuori dalle situazioni peggiori e che, unendoci, diamo un esempio costruttivo e positivo al resto dell’umanità.

Sebbene noi ebrei abbiamo l’obbligo innato di stabilire lo standard per la scelta dell’unità rispetto alla divisione, le persone di tutte le razze, colori, forme e dimensioni dovrebbero fare gli stessi passi verso l’unificazione prima di andare incontro a maggiori turbolenze e crisi. Il nostro destino è nelle nostre mani.

 

Contenuti scritti ed editati da studenti, basati sulle loro conversazioni con il Rav dr. M. Laitman.

 

 

 

Felice Anno Nuovo (di riflessione)

Quasi ogni cultura festeggia l’inizio del nuovo anno.  Ogni tradizione ha le sue usanze, pasti, doni e un proprio significato interiore.  Per gli Ebrei, il festeggiamento di Rosh Hashanah (l’inizio del nuovo anno) avviene con  cibi simbolici ed è un giorno di giudizio. Questo giudizio è il cuore di Rosh Hashanah.

Possiamo pensare al significato spirituale di Rosh Hashanah come a un sistema operativo, come Microsoft Windows o Apple IOS. La razza umana non è nata dal nulla. L’evoluzione ha uno scopo e il sistema operativo la conduce verso di esso.

Il sistema operativo funziona in tutta la natura e tutte le creazioni, tranne l’umanità, lo seguono istintivamente. Noi, dall’altro lato, possiamo studiarlo e manipolarne alcune parti a nostro vantaggio.

A Rosh Hashanah, prima di assaggiare la testa del pesce, pronunciamo una benedizione: “Che possiamo essere la testa e non la coda”. Queste parole esprimono il nostro desiderio di non rimanere ignari del sistema operativo e di esserne governati inconsciamente, ma di diventarne consapevoli e di poter orientare il nostro sviluppo in una direzione positiva.

Il sistema operativo conduce invariabilmente verso uno stato di armonia ed equilibrio tra tutti gli elementi della realtà. Mira a portare l’intera umanità in uno stato di unità e vicinanza, come se fossimo tutti un’unica famiglia calorosa e amorevole. Il sistema non mira all’uniformità, a renderci tutti uguali, ma alla complementarità, a renderci complementari gli uni agli altri, in modo che ognuno di noi contribuisca con le proprie capacità e i propri talenti al bene comune e goda dei contributi di tutti gli altri, proprio come in una famiglia affettuosa in cui ognuno aiuta gli altri perché tiene a loro.

Studiando il sistema, ci rendiamo gradualmente conto di quanto siamo opposti allo stato di vicinanza e cura. Queste prese di coscienza precedono Rosh Hashanah e si chiamano selichot (chiedere perdono). Le selichot sono preghiere che pronunciamo quando sentiamo quanto siamo all’opposto dello stato di equilibrio e di cura reciproca.

Il termine ebraico per “preghiera”, tra l’altro, è tefilla, che deriva dalla parola haflala, cioè criminalizzazione. Durante la preghiera ci “criminalizziamo”, cioè scopriamo di essere dei criminali e quindi chiediamo perdono. Il crimine che ci rendiamo conto di aver commesso riguarda il sistema operativo, cioè il fatto che siamo stati egoisti, pensando a noi stessi e amando solo noi stessi invece di abbracciare tutta la creazione e lavorare a suo favore. Nella spiritualità, l’egoismo è sempre l’unico peccato, poiché ogni errore che commettiamo deriva dal pensare solo a noi stessi.

Tuttavia, il processo di riflessione, pentimento, richiesta di perdono e preghiera per diventare più amorevoli non è limitato da nulla. Può e deve essere un ciclo costante che compiamo interiormente. Ogni volta che completiamo un ciclo di richieste di perdono, raggiungiamo un altro Rosh Hashanah, fino a quando la successiva consapevolezza di egoismo emerge in noi attraverso i nostri sforzi per correggere il nostro egocentrismo e diventare più premurosi.

Quando il ciclo di Selichot è finito e raggiungiamo Rosh Hashanah, non solo desideriamo essere la testa e non la coda, ma anche festeggiare la correzione delle nostre qualità corrotte. Questo viene simboleggiato immergendo una mela nel miele. La mela rappresenta il cuore e il miele simboleggia l’addolcimento (la correzione) che trasforma l’egoismo in premura per gli altri.

Un’altra usanza è quella di mangiare un rimon (melograno). Il melograno contiene molti semi. Ognuno di essi rappresenta un desiderio egoistico. Mangiarli significa correggerli dall’egoismo alla donazione, il che ci dà una sensazione di romemut (euforia, si noti la somiglianza con la parola rimon).

Infine, a Rosh Hashanah, suoniamo lo Shofar, un corno festoso. Il suono del corno sta a significare il nostro desiderio di correzione dalla indifferenza e dall’odio verso gli altri per essere amorevoli, connessi e uniti come un tutt’uno con tutte le persone del mondo. Il termine shofar deriva dall’aramaico shufra (il meglio del meglio). Questo è lo stato che raggiungiamo quando tutti i nostri desideri sono stati corretti e diventiamo uniti come un’unica famiglia globale e amorevole.

Perché ci interessa Mosè

Anche se la Pasqua è finita, c’è una cosa che per l’umanità non finisce mai: l’essere affascinati da Mosè. In realtà, non si tratta solo di Mosè, ma dell’intera storia della schiavitù degli Ebrei in Egitto e della loro fuga miracolosa, che ha catturato l’immaginazione dell’umanità per migliaia di anni. Cosa c’è in questa storia che ci ha affascinato così tanto? Dopo tutto, le storie di schiavi e di fuga verso la libertà abbondano, così come le storie di scontri tra leader. Ma poche, se non nessuna, hanno guadagnato l’immortalità come la storia della fuga di Israele dall’Egitto.

C’è una buona ragione per questo. La storia dell’entrata di Israele in Egitto, la loro vita lì e la loro fuga, ci affascina non tanto per la storia in sé, ma per ciò che significa per ognuno di noi. Gli annali degli Ebrei in Egitto descrivono il processo di liberazione dall’egoismo e il raggiungimento della qualità dell’altruismo, o amore per gli altri.

C’è una ragione per cui Rabbi Akiva spiega che la grande regola della Torah è “Ama il tuo prossimo come te stesso”, e perché il grande saggio Hillel disse a un uomo che gli chiese di riassumere la Torah in una frase: “Quello che odi, non farlo al tuo prossimo”.

E’ vero che non tutti vogliono diventare altruisti.  In realtà lo vogliono pochi. Tuttavia, man mano che l’umanità si evolve, sta diventando sempre più interdipendente. Più riconosciamo che le azioni di ognuno di noi influenzano la vita di tutti quanti, più ci rendiamo conto che non abbiamo altra scelta se non cambiare il nostro tratto fondamentale: l’egoismo, che di questi tempi è diventato ciò che molti esperti chiamano “epidemia di narcisismo”. 

La presa di coscienza è già in corso. La frase molto usata “Un’infezione in qualsiasi posto è un’infezione dappertutto”, mostra che riconosciamo che tutti ci influenziamo a vicenda.

Tuttavia, come possiamo preoccuparci degli altri quando siamo così preoccupati per noi stessi? Questo è precisamente quello che ci dice la storia degli Israeliti in Egitto. E ci commuove perché nel profondo, tutti noi abbiamo un Mosè interiore che capisce che la soluzione ai nostri problemi è nell’unità, nel liberarsi dall’ego, ed è solo una questione di tempo prima di accettare l’inevitabilità della trasformazione.

Nella storia, il Faraone rappresenta l’inclinazione malvagia, l’ego. Anche gli Egizi sono desideri e pensieri egoistici, ma non sono così ostinati ed egocentrici come il Faraone. Gli Israeliti sono quei pensieri e desideri dentro di noi che sono disposti a seguire Mosè verso l’altruismo.

Allo stesso modo, anche noi siamo molto deboli quando si tratta di resistere al nostro ego. Basta guardare la cultura: “Io! Io! Io!”, la cultura che abbiamo costruito, come l’ha descritta un grande saggio della NPR, e capirete quanto siamo immersi in noi stessi.

Ma prima o poi dovremo uscire dall’Egitto. L’impero dell’ego sta già cadendo; la civiltà che abbiamo costruito si sta sgretolando sotto l’inquinamento, lo sfruttamento e la belligeranza. Ci sta facendo uscire da noi stessi e ci sta portando l’uno nelle braccia dell’altro. Ci sta dando la scelta di abbracciarci l’un l’altro ed essere salvati oppure di ucciderci l’un l’altro e noi stessi durante il percorso.

Alla fine, sceglieremo la prima opzione. L’unica domanda è quanto tempo ci vorrà prima di capire che non abbiamo altra scelta che scappare dall’Egitto e costruire una nuova nazione, composta da tutta l’umanità, dove le persone si prendono cura le une delle altre e si uniscono come fece il popolo d’Israele ai piedi del monte Sinai: “come un solo uomo con un solo cuore”.

Esilio e Redenzione. La via di Israele

Questa sera, venerdì 15 aprile, gli Ebrei in tutto il mondo celebreranno la Pasqua, la redenzione di Israele dalla schiavitù in Egitto, trentatré secoli fa. L’esodo dall’Egitto non è ricordato solo nella data in cui si colloca nel calendario ebraico. In effetti, non solo nel Giudaismo ma anche nel Cristianesimo si attribuisce grande importanza alla liberazione degli  Israeliti dalla schiavitù. Nel corso della storia, ci sono stati innumerevoli casi di schiavitù e di liberazione. Perché allora questo è così importante che ci si preoccupa di ricordarlo? L’esodo simboleggia molto di più della liberazione di una nazione da un’altra. Descrive il processo interiore con cui si riscatta la propria anima dalla schiavitù dell’ego. E poiché siamo tutti nati schiavi del nostro ego, l’esodo dall’Egitto riguarda ogni persona sul pianeta.

Quando gli Israeliti erano nel deserto del Sinai, si lamentavano con Mosè: “Ci ricordiamo del pesce che abbiamo mangiato gratuitamente in Egitto, dei cetrioli e dei meloni, delle verdure, delle cipolle e dell’aglio” (Num. 11:5). In un’altra occasione, si lamentarono dicendo: “Vorrei che fossimo morti per mano del Signore nella terra d’Egitto, quando sedevamo vicino alle pentole di carne, quando mangiavamo pane a sazietà” (Esodo 16:3). Vediamo che non furono le difficoltà fisiche ad affliggere i figli di Israele in Egitto, ma qualcos’altro li tormentava al punto che non potevano tollerare di rimanere lì anche solo per un’altra notte. Quel qualcosa è la ragione per cui la storia dell’esodo dei figli di Israele dall’Egitto è ancora così ben ricordata.

Per capire cos’è questo qualcosa, dobbiamo ricordare che il popolo di Israele è diverso da qualsiasi altra nazione. Le loro radici non possono essere ricondotte a nessuna nazione o paese, clan o tribù. Noi attribuiamo la nascita della nazione ad Abramo, ma egli fu solo il primo. Il giorno della sua morte, gli Ebrei non erano ancora una nazione. Ricevettero il loro status ufficiale, se volete, solo ai piedi del Monte Sinai, dopo aver fatto voto di unirsi “come un solo uomo con un solo cuore”.

Fino ad allora, individui di numerose tribù e nazioni si univano agli Ebrei per loro scelta. L’unica condizione per unirsi agli antichi Ebrei era accettare il principio dell’unità al di sopra di ogni differenza. In altre parole, la nazione emergente era composta da uomini di origini diverse, che si univano al gruppo che Abramo aveva costituito perché aderivano all’idea con cui egli lo aveva fondato: unità, cura degli altri, questo è tutto ciò che conta. Ecco perché la legge fondamentale del Giudaismo è “Ama il tuo prossimo come te stesso”.

Nonostante i loro sforzi per unirsi, l’ego degli antichi Ebrei li deluse più e più volte. Ogni volta che lo superavano e si univano, si intensificava e li separava ancora una volta. Ecco perché la storia del popolo di Israele è piena di conflitti e guerre.

La storia dell’esodo dall’Egitto è un racconto simbolico che parla degli sforzi per superare il proprio ego. Mosè, per esempio, è la qualità dentro di noi che trascina costantemente verso l’unità. Il nome ebraico Moshe [Mosè] è simile alla parola ebraica moshech [tirare], cioè tirare via dall’ego e verso l’unità e l’amore per gli altri.

Il popolo di Israele è la qualità dentro di noi che può relazionarsi con Mosè e seguirlo, ma esita a farlo. Sono tentati dall’ego di rimanere in Egitto, dove l’ego è il re. Questo è il motivo per cui mettono costantemente in discussione la guida di Mosè e si chiedono se non sarebbe stato meglio se fossero rimasti in Egitto.

L’Egitto simboleggia il nostro ego, il nostro odio per gli altri. Il Faraone è l’epitome dell’ego. Non è solo l’odio per gli altri, ma il desiderio di dominare su tutti e tutto, di opprimere tutta la realtà sotto il proprio governo. Ecco perché il Faraone dice: “Chi è il Signore perché io obbedisca alla Sua voce?” (Es. 5:2). In altre parole, il Faraone non si inchina a nessuno; è il nucleo dell’egoismo.

La lotta di Mosè per liberare il popolo di Israele dall’ego ebbe successo. Per un individuo, è la redenzione dell’anima dalle catene dell’ego, il re che ci governa dalla nascita, come è scritto: “L’inclinazione del cuore dell’uomo è malvagia fin dalla sua giovinezza” (Gen. 8:21).

Come possiamo vedere, la storia dell’esodo di Israele dall’Egitto è molto pertinente. Il mondo di oggi, che è immerso nell’egoismo, ha bisogno di redenzione dall’ego non meno di quanto il popolo di Israele ne avesse bisogno allora. Abbiamo costruito un mondo bellissimo, che è abbondante in ogni modo possibile. Eppure, l’asservimento al nostro io narcisistico ci separa gli uni dagli altri e ci porta a distruggere ogni frammento di bellezza sul nostro pianeta.

Proprio come la schiavitù del popolo di Israele in Egitto era in realtà la schiavitù del loro ego, così noi siamo intrappolati dal nostro ego e cerchiamo di dominare e opprimere gli altri (se siamo Faraone), o semplicemente odiamo le altre persone (se siamo semplici egiziani). In entrambi i casi, è distruttivo per noi, per la società e per il mondo in cui viviamo. 

Che questa Pasqua sia l’inizio della nostra redenzione dall’ego e l’inizio dell’unità e dell’amore per gli altri.

La guida di Mosè per condurre l’umanità fuori dall’Egitto

Sull’odierno sfondo di un vuoto mondiale di autorità, la figura di Mosè che fece uscire Israele dall’Egitto sembra più rilevante che mai. Cosa ha reso il grande profeta, l’eroe della festa di Pasqua, così importante nelle pagine della storia? Quale speciale capacità di comando aveva?

In termini di capacità di comando, non c’era nulla di palesemente speciale in Mosè. Era tutt’altro che eloquente, non era un capo nato e spesso non riusciva a capire il Creatore di cui portava il messaggio. Con la sua apparente mancanza di risultati, chiunque altro si sarebbe arreso molto prima, ma non Mosè. Egli aveva la qualità che ci piacerebbe vedere nei governanti di oggi: un amore vero e disinteressato per il suo popolo.

Nel corso della storia, ci sono state molte persone che hanno saputo gestire bene le cose e governare gli altri secondo le loro aspirazioni egoistiche, ma non sono state necessariamente considerate bravi capi. Sofisticazione, scaltrezza e altre qualità subdole, tutte non sono richieste in un vero capo.

Un capo è prima di tutto e soprattutto un educatore. Mosè certamente lo era, ha educato il suo popolo ad amarsi l’un l’altro e lo ha aiutato a connettersi al di sopra del suo egoismo, dei suoi desideri innati di trarre vantaggio per se stesso. Gli Ebrei si unirono intorno al Monte Sinai, che non a caso prende il nome dalla parola ebraica “sinah” (odio). Non distrussero la montagna dell’odio tra di loro, ma mandarono l’elemento più incontaminato in mezzo a loro, Mosè, a scalare la montagna, a conquistarla e a portare giù una legge (Torah) con la quale avrebbero potuto stabilire l’amore tra di loro.

Ma la Torah non è un copione di Hollywood. Parla dello sviluppo spirituale all’interno di una persona e della lotta costante tra le forze dell’egoismo e le forze della fratellanza e dell’unità dentro di noi. Questo è spiegato nel Libro dello Zohar con la frase: “L’uomo è un piccolo mondo”. Così, quando è scritto nella Torah (Esodo 6:2) a proposito di Mosè che lo spirito del Signore parlò nella figlia del Faraone per chiamarlo Moshe (Mosè) dalla parola “moshech” (tirare), è perché lui è colui che tira Israele dall’esilio, li tira fuori dall’Egitto, cioè dall’egoismo che stava distruggendo le relazioni tra loro.

Oggi sentiamo che il periodo oscuro dell’Egitto sta ritornando, ma è generale e globale. Vediamo già chiaramente che il mondo intero è strettamente interconnesso, ultimamente con l’impatto della pandemia e con le ripercussioni della guerra in Ucraina sulle economie e le forniture di cibo in tutto il mondo.

Dobbiamo affrontare l’oscurità e anche capire cosa ci sta mostrando. Ha lo scopo di avvicinare tutta l’umanità alla redenzione. Dobbiamo smettere di fingere che questo stato di oscurità non sia sceso su tutti noi. Non possiamo ignorarlo o semplicemente sperare che se ne vada. È importante riconoscerlo e capire che l’oscurità è il segno di un nuovo stato luminoso.

Ma abbiamo bisogno di aiuto per usare questo avvertimento in modo mirato e raggiungere i risultati desiderati. Dovremmo essere condotti dagli attributi della guida di Mosè espressi nella forma di un sistema educativo pan-sociale. Abbiamo bisogno di un sistema che permetta a ciascuno di noi di capire che la radice di tutti i nostri problemi, in patria e all’estero, è l’ego che porta separazione e che le guerre tra di noi rendono solo amara la vita di tutti e portano solo più problemi in ogni parte del il mondo. Abbiamo bisogno di una guida che ci insegni a trascendere tutti i disaccordi e che ci insegni come, nonostante tutte le differenze, connetterci tra di noi.

Al contrario, se manchiamo di rispetto e ci facciamo del male l’un l’altro, inevitabilmente si manifesteranno altri flagelli come quelli dell’Egitto. Questo significa che tutto dipende da noi, ora. Se capiremo al pari di un bambino che vede lo sguardo dei suoi genitori, affronta e interpreta l’avvertimento e migliora il suo comportamento in risposta, allora non ci sarà bisogno di altri colpi. Invece, costruiremo ponti d’amore sull’odio.