Vedere oltre la vista: “il paradosso dell’astronomo cieco”

Si racconta di un vecchio cieco che era seduto all’ombra del tempio quando un passante gli chiese: “Perdona la mia domanda, ma come sei diventato cieco?”. “Sono cieco dalla nascita,” rispose l’uomo. “Cosa fai?” chiese il passante. “Sono un astronomo,” rispose lui. “Guardo il sole e le stelle.” “Ma non puoi vederle!”, esclamò il passante sorpreso. “Io le vedo,” rispose l’uomo. “Sono qui.” E mise la mano sul petto.

È possibile vivere in questo paradosso, essere ciechi ma vedere, sordi e capaci di sentire la musica, e così via. È perché i nostri sensi, in  principio, si estendono dal desiderio umano di godere. Se non avessimo tali sensi, potremmo essere completamente diversi.

Se l’organo sensoriale è distaccato da noi, ad esempio, come il vecchio cieco che afferma di essere un astronomo, allora come possiamo sentire che non siamo ciechi? La risposta è guardare dentro noi stessi. Dentro di noi c’è il cielo, le stelle, assolutamente tutto. Possiamo quindi essere sordi e sentire la musica, e così via con tutti i nostri sensi, perché in realtà non abbiamo bisogno dei nostri sensi. Non abbiamo bisogno del nostro corpo. Se non avessimo corpi, sperimenteremmo pura felicità, armonia e pace.

Pertanto, le persone che mancano di questi sensi hanno la capacità di non sentire inferiorità o mancanza rispetto agli altri che hanno tali sensi. Riguardo al vecchio cieco che affermava di essere un astronomo, guardare le stelle ci mostra la parte opposta dell’universo in cui esistiamo, il che ci parla immediatamente dell’infinità dell’universo e della nostra finitezza. Possiamo scoprire l’infinità dell’universo dentro di noi, sentendoci di conseguenza muovere verso lo stato di infinito.

Contenuti scritti ed editati da studenti, basati sulle loro conversazioni con il Rav dr. M. Laitman.  

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