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La semplicità di un kabbalista

Baal HaSulam, Gli scritti dell’ultima generazione: “La gente immagina che l’uomo che ha un contatto con il Creatore, sia una persona … di carattere e che deve avere paura di parlarne, molto più che esserne in vicinanza immediata. È la natura umana, temere qualsiasi cosa che sia al di là della natura della creazione. La gente ha anche timore di tutto quello che è inusuale, come un tono o dei forti rumori.”

Le persone pensano comunemente che si sperimenti una certa ansietà nell’essere vicini ad un kabbalista. Ricordo che quando cominciai a studiare la Kabbalah e cominciai a viaggiare da Rehevot a Gerusalemme, per recarmi dal kabbalista chiamato Isaac Zilberman, mi dissero: “Vai a trovare una persona alla quale è impossibile stare al suo fianco senza tremare”. Non mi successe mai niente di tutto questo.

Un kabbalista non si mette mai in mostra in nessun modo. Al contrario, si comporta semplicemente in maniera naturale. Anche quando c’è in lui un certo splendore, cerca sempre di minimizzarlo, perché gli rende molto difficile il lavoro spirituale. Non c’è niente di soprannaturale in lui che faccia tremare gli altri in sua presenza.

Lo vediamo negli scritti dei kabbalisti. Ad esempio, gli studenti del Baal Shem Tov, andavano in mezzo al popolo e non richiamavano l’attenzione delle masse. Fu allora che furono create delle favole su di loro, ma fondamentalmente essi si comportavano come persone molto semplici. Anche a prescindere dal fatto che sentissero il mondo superiore, il sistema di controllo di tutta la natura, ciò nonostante, si comportavano come persone comuni. Questo non era difficile per loro, perché quanto più grande è una persona, più semplicemente essa si comporta.

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Dalla trasmissione di KabTV “L’ultima generazione”, 09/10/2017

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Newsmax: “Aria di cambiamento: gli Stati Uniti si ritirano dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite”

Il più importante portale di informazione online, Newsmax, ha pubblicato il mio ultimo articolo Aria di cambiamento: gli Stati Uniti si ritirano dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite

Abbiamo un cane da guardia che punta ossessivamente nella direzione sbagliata, non è forse il segno che stiamo negando l’evidenza dei fatti? La mossa senza precedenti da parte degli Stati Uniti di ritirarsi dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, segna un punto di svolta in un nuovo approccio globale volto a raggiungere l’equilibrio e l’efficienza degli organismi mondiali di monitoraggio.

Ambasciatrice degli Stati Uniti presso le Nazioni Unite, Nikki Haley, paladina di questo nuovo approccio trasformativo nell’arena diplomatica e rappresentante della visione dell’attuale amministrazione, è stata irremovibile nell’esporre i motivi per cui la decisione è stata adottata:

Per troppo tempo, il Consiglio per i diritti umani è stato il protettore dei violatori dei diritti umani, e un pozzo nero di pregiudizi politici. Purtroppo, ora è chiaro che la nostra richiesta di riforma non è stata ascoltata.”

La decisione presa, arriva come una doccia fredda. Rappresenta l’inizio della fine del vecchio mondo, caratterizzato dalla priorità data agli interessi di pochi a scapito degli interessi della maggioranza. I venti del cambiamento sono stati introdotti da un nuovo ordine di crescente interdipendenza dell’umanità. E quando si tratta di una macchina sforna soldi come le Nazioni Unite, che “vantano” un record molto discutibile nel risolvere le questioni più “urgenti” per il mondo, un cambiamento del genere è necessario.

Le Nazioni Unite si occupano continuamente di alcune nazioni e chiudono un occhio sulle violazioni delle altre. Secondo l’Osservatorio dell’ONU, dal 2012 al 2015, l’86% delle risoluzioni adottate dall’Assemblea Generale sono state emesse nei confronti di un solo paese: Israele. In particolare, il Consiglio per i diritti umani ha avuto un ruolo chiave in questa attività. Nel giro di un decennio dalla sua istituzione nel 2006, ha approvato 135 risoluzioni critiche nei confronti dei paesi, più della metà di esse sono state indirizzate contro Israele.

Paradossalmente, molti dei paesi membri che valutano gli standard dei diritti umani e tengono conferenze su altre nazioni, sono classificati come paesi “non liberi” da Freedom House: Afghanistan, Angola, Burundi, Cina, Cuba, Congo, Egitto, Etiopia, Iraq, Qatar, Ruanda, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Venezuela.

Lo stato attuale delle cose ci sta portando a ripensare alla rilevanza degli organismi internazionali per il miglioramento dei diritti dell’umanità, nonché a valutare se dovremmo continuare o meno a perpetrare l’esistenza di organizzazioni che servono principalmente gli interessi delle élite politiche e finanziarie.

La buona notizia è che ci sono segni di trasformazione globale. I confini delle relazioni internazionali stanno diventando sempre più frastagliati, come abbiamo visto recentemente con il vertice del G7 e nell’incontro tra il Presidente degli Stati Uniti e il leader della Corea del Nord. Oggi, qualsiasi riunione può essere impostata in qualsiasi momento in base alle necessità. Non c’è bisogno di organizzare raduni di rappresentanti in una forma pluralistica.

Il mondo interdipendente di oggi non richiede organi rappresentativi artificiali per aiutarci ad avvicinarci l’uno all’altro. Noi stessi possiamo rafforzare la nostra solidarietà e indurre un cambiamento fondamentale nelle nostre relazioni. Quando i leader e il popolo delle nazioni in generale realizzeranno la portata della nostra interdipendenza globale, saremo in grado di dare il via a grandi progressi verso una società globale armoniosa.

Come? Stabilendo programmi educativi che favoriscano la connessione, perché ci aiuterebbero ad adattarci positivamente alle nuove condizioni globali interdipendenti. Alla fine le persone hanno bisogno di imparare come accettare, capire e andare d’accordo con tutti, oltre che essere influenzate da un’atmosfera di reciproca comprensione, supporto, consapevolezza e sensibilità. Tali programmi, guidati da un “consiglio di saggezza” formato da persone che hanno a cuore i migliori interessi della società, renderebbero quindi chiaro che il futuro luminoso del mondo non dipende dall’ONU e neppure da qualsiasi altro attore sulla scena internazionale, ma dalla qualità delle connessioni umane.

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