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Oltre le leggi sulle armi

La strage alla Robb Elementary School di Uvalde, in Texas, ha riacceso il dibattito sulle leggi sulle armi e sul Secondo Emendamento, soprattutto perché è avvenuta solo dieci giorni dopo un’altra sparatoria di massa in un supermercato Tops Friendly di Buffalo, a New York.  Non c’è dubbio che non tutti dovrebbero avere l’autorizzazione a possedere un’arma da fuoco e che  necessitano più controlli. Tuttavia, è altrettanto indubbio che leggi più severe da sole non miglioreranno la situazione. È ora di guardare oltre le leggi sulle armi, di accettare che c’è un problema educativo e che senza l’educazione all’accettazione e alla solidarietà, nulla cambierà in meglio.

Il problema della violenza da arma da fuoco è una testimonianza dell’alienazione e della divisione della società americana. Alcune comunità hanno sempre sopportato il peso dei tassi di mortalità più elevati negli Stati Uniti. Michelle R. Smith ha scritto su Associated Press che secondo la professoressa di sociologia Elizabeth Wrigley-Field dell’Università del Minnesota, una studiosa in materia di mortalità, negli Stati Uniti esistono profonde disuguaglianze razziali e di classe e la nostra tolleranza nei confronti della morte si basa in parte su chi è a rischio. “La morte di alcune persone è molto più importante di quella di altre”, ha sottolineato. Dato che la violenza delle armi evidenzia non solo l’alienazione, ma anche la divisione nella società americana, è fondamentale coltivare l’empatia e la solidarietà.

Per quanto tragiche, le sparatorie di massa non sono il problema peggiore dell’America quando si parla di violenza con armi da fuoco. Il numero di vittime legate alle armi rivela la profondità della crisi. Un articolo del Pew Research Center pubblicato il 3 febbraio di quest’anno rivela che “su base pro capite, nel 2020 ci sono stati 13,6 morti per arma da fuoco ogni 100.000 persone, il tasso più alto dalla metà degli anni ’90”. Si tratta di un numero più che doppio rispetto al Paese occidentale più vicino nella classifica dei decessi per arma da fuoco ogni 100.000 persone.

Per capire come migliorare la situazione, dobbiamo capire cosa c’è di sbagliato nell’attuale paradigma educativo. Attualmente, agli Americani viene insegnato a seguire una semplice legge: Lascia che il tuo sia tuo e lascia che il mio sia mio. In altre parole, si insegna loro non solo a non preoccuparsi dell’altro, ma addirittura a non vedersi. Questo atteggiamento è chiamato “regola sodomitica”, poiché questa era la legge che governava la città biblica di Sodoma, e fu proprio questa la ragione della sua fine infausta.

Per creare una società valida che possa mantenere i suoi membri felici e sicuri, l’elemento sociale della comunità deve essere vitale e dominante. Se ogni persona è lasciata a se stessa, la società si disintegra. Questo è ciò che ci dice l’attuale paradigma dominante: “Sei da solo!”.

Tutti hanno scatti d’ira, è naturale.  Quale persona normale non ha desiderato uccidere il suo partner, il suo vicino, capo o il presidente, a un  certo punto nella vita?  Si tratta di un’emozione naturale che accompagna un’intensa frustrazione, che noi tutti sentiamo a volte. 

Ma chi la mette in atto? Solo chi non prova empatia per gli altri. Una società che alimenta il pensiero che siamo soli non crea alcuna inibizione nella mente delle persone. Poiché siamo soli e dobbiamo cavarcela da soli, perché non dovremmo eliminare chi consideriamo una minaccia?

L’unico modo per prevenire morti insensate, quindi, è alimentare l’empatia e la solidarietà. Niente di più necessario per la società americana di oggi.

A proposito di coltivare l’empatia, uno dei motivi principali per cui gli Americani ne hanno così poca sono i media. Guardate cosa trasmettono. Dall’infanzia fino all’età adulta, la gente viene esposta a enormi quantità di violenza. Così facendo, viene educata a diventare violenta. Se l’America vuole cambiare se stessa, deve cambiare l’educazione in tutti i suoi aspetti, non solo nelle scuole, ma soprattutto nei media, compresi i social media e tutte le forme di comunicazione di massa. Finché le persone saranno male educate, nessuna sanzione sarà utile.

Al momento nessuno pensa e tanto meno agisce in questa direzione. Il presidente e gli altri politici pronunciano qualche parola di shock e sgomento, probabilmente in base a quanto imposto loro dai consiglieri, e poi? Fanno qualcosa? Qualcuno fa qualcosa? Nessuno fa nulla. Finché non si agisce per  portare la cultura americana dall’alienazione all’empatia e dalla divisione alla solidarietà, essa continuerà a piangere la perdita di persone care a causa della violenza delle armi.

Didascalia della foto:
Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden e la first lady Jill Biden rendono omaggio a un monumento commemorativo presso la Robb Elementary School, dove un uomo armato ha ucciso 19 bambini e due insegnanti nella più letale sparatoria in una scuola statunitense da quasi un decennio a questa parte, a Uvalde, Texas, Stati Uniti, 29 maggio 2022. REUTERS/Jonathan Ernst

Perché non riusciamo a smettere di litigare

Quando riflettiamo sulla storia dell’umanità, ci accorgiamo che le persone hanno sempre combattuto tra loro. Sembra che non ci sia mai stata, veramente, pace, ma solo una pausa tra una battaglia e un’altra. L’attitudine dell’uomo a combattere continuamente sembra ancora più sconcertante se la si confronta con la natura, dove si combatte solo per mangiare, per evitare di essere mangiati o per accoppiarsi, ma gli animali raramente si fanno del male a vicenda. Perché gli esseri umani combattono se non c’è una ragione esistenziale che li costringe? Inoltre, anche quando una battaglia non è combattuta con le armi, siamo comunque in guerra: discutiamo, dibattiamo e lottiamo per conquistare l’opinione pubblica. In breve, la nostra intera esistenza consiste nel combattere.

Esiste un buon motivo per questo. Sembra che non ci sia un motivo esistenziale che ci obbliga a combattere, ma in realtà c’è.  Mentre gli animali combattono per la loro sopravvivenza fisica, noi combattiamo per la nostra sopravvivenza spirituale.  I nostri ego ci portano ad eccedere e trionfare, dato che senza la sensazione di superiorità, i corpi potrebbero sì esistere, ma non ci sentiremmo vivi.  Non c’è nulla di peggiore per l’ego dell’umiliazione: le persone si tolgono la vita per questo. 

In altre parole, ci sentiamo vivi solo quando dominiamo qualcun altro. Questa è l’unica affermazione sulla nostra esistenza che l’ego accetta. È per questo che siamo costretti a lottare gli uni contro gli altri anche quando sembra che non ci siano motivi ragionevoli per farlo. Poiché tutte le nostre comunicazioni, a ogni livello, sono battaglie di qualche tipo, sembriamo condannati a una vita di battaglie senza fine, finché non siamo esausti e passiamo a miglior vita.

Ma c’è una ragione profonda. Gli scontri continui ci obbligano a chiederci quale sia il significato di tutto: perché litighiamo, perché ci facciamo del male, perché esiste così tanta cattiveria nel mondo, e alla fine, perché esistiamo.

Queste domande, in definitiva, ci portano a renderci conto che non esiste soltanto una forza (maligna) nel mondo, ma anzi, ce ne sono due: una positiva e una negativa. La forza positiva crea la vita, il calore, la crescita e la connessione, mentre la forza negativa genera la morte, il freddo, il decadimento e la separazione. Se esistesse un’unica forza, non potremmo esistere. Ci vogliono entrambe per creare la vita, e ci vogliono entrambe per generare sviluppo e cambiamento. Si scopre che, ironia della sorte, è la guerra a farci sentire vivi.

Di conseguenza, se una nazione vuole dominare, ci devono essere anche altre nazioni, quindi avrà chi dominare. Inoltre, se una nazione domina sempre, la sensazione di dominio si affievolisce, la nazione dominante perde la sua spinta, si indebolisce e un’altra nazione prende il sopravvento.

La lotta tra le forze positive e negative attiva la vita, quindi deve esistere. Tuttavia, spetta a noi stabilire se diventa una guerra o meno.

Per consentire l’esistenza e lo sviluppo, pur mantenendoli pacifici, dobbiamo comprendere il significato di pace. La parola ebraica che indica la pace è shalom, dalla parola shlemut, che significa interezza o complementarità. In altre parole, c’è vita solo quando entrambe le parti esistono e si completano a vicenda. Inoltre, il potere di una determina il potere dell’altra, poiché la lotta tra di esse le spinge continuamente a evolversi.

Per porre fine alle guerre, dobbiamo comprendere questo processo e accettarlo. Non fermerà la lotta tra le forze, ma la renderà costruttiva anziché distruttiva.

Quando un atleta vuole migliorare i propri risultati, per esempio, si allena con sempre più rigore.  Sa che soltanto sfidando se stesso riuscirà a migliorarsi. 

Allo stesso modo, solo se la competizione tra nazioni e persone si intensifica, tutti noi miglioreremo. Tuttavia, solo se ricordiamo che lo scopo della competizione non è controllare, sconfiggere o umiliare gli altri, ma migliorare tutte le persone coinvolte, saremo in grado di competere, ma anche di accogliere le nostre sfide e i nostri sfidanti, perché se non fosse per loro, saremmo fermi.

Quando passeremo a una logica  di mutua  complementarità, non ci sarà nessuno più forte dell’altro. Al contrario, ci sarà un impegno reciproco per soddisfare il benessere di tutti. La comprensione del fatto che siamo reciprocamente dipendenti e che i nostri avversari percepiti sono in realtà la garanzia del nostro sviluppo è la chiave per costruire una società prospera, in evoluzione e sostenibile in tutto il mondo e in ogni nazione, i cui membri vivono pacificamente e felicemente.

La crisi climatica non è un gioco da bambini

Il pianeta sta esaurendo il suo tempo: l’umanità sta utilizzando le risorse del mondo più in fretta di quanto possa recuperare col processo naturale. È questa la netta valutazione della crisi climatica espressa dalle Nazioni Unite in occasione della Giornata Mondiale dell’Ambiente che si celebra il 5 giugno.

Il tema di quest’anno è: “Solo una Terra”. Ma al di là degli slogan accattivanti, il fatto è che non sembriamo renderci conto che abbiamo davvero un solo posto in cui vivere: Il pianeta Terra. Continuiamo a tirarci la zappa sui piedi con le nostre azioni sconsiderate nei confronti dell’ambiente che ci circonda.

Nonostante le tante persone che continuano a gridare e a parlare all’infinito della crisi ambientale, le tante riunioni che si tengono e le tante decisioni che vengono prese, nulla sembra essere di aiuto. O lasciamo lo stato del pianeta così com’è ora, ignorando tutti i problemi e aspettando il prossimo disastro, oppure ammettiamo che tutto ciò che abbiamo fatto finora è inefficace e infruttuoso e finalmente diamo la svolta necessaria.

Per sensibilizzare l’opinione pubblica sullo stato precario del pianeta, a partire dall’anno prossimo le scuole israeliane renderanno obbligatorie le lezioni sulla crisi climatica per gli studenti di tutte le età, hanno annunciato di recente i ministeri dell’Istruzione e della Protezione ambientale. Inizieranno a integrare un programma ambientale equivalente a un’ora alla settimana nel curriculum degli studenti dalla scuola materna alle superiori.

Questo farà la differenza o sarà un fallimento come i precedenti tentativi di risolvere i problemi ambientali? La risposta non dipende dalle ore dedicate a questi studi o da chi li svilupperà. Dipende piuttosto da ciò che viene insegnato e dalla misura in cui gli studenti comprenderanno le cause della crisi climatica e come risolverla.

Sappiamo che la gravità della crisi ambientale globale può essere paragonata a un’astronave che viene verso di noi per distruggere il pianeta e che noi che viviamo sulla Terra dobbiamo prepararci per evitare di essere danneggiati da essa. E come ci prepariamo? Dobbiamo spiegare che la crisi climatica è la conseguenza di una crisi umana.  Quindi, la soluzione che alla fine porterà il mondo in equilibrio è di cambiare noi stessi per coltivare relazioni umane positive, e avvicinarci gli uni agli altri a livello interiore.  Ovvero, il cuore deve espandersi, non fisicamente, ma emotivamente. Iniziare a sentire il mondo intero come parte di ognuno di noi e che noi ci prendiamo cura del mondo intero proprio come ci prendiamo cura di noi stessi. 

Questo è vero perché la natura è un sistema di connessioni integrali che opera attraverso una gerarchia. Ciò che accade in un particolare livello del sistema si ripercuote su tutti gli altri livelli. L’intensità dell’impatto sul sistema corrisponde alla sua posizione nella gerarchia. Il genere umano è il livello più alto della natura, al di sopra di quello inanimato, vegetale e animale. Pertanto, la parte del sistema che distrugge maggiormente l’equilibrio ecologico sono le azioni egoistiche degli esseri umani che non tengono conto degli interessi degli altri, comprese le altre parti del sistema della natura.

L’umanità non può fare nulla per correggere questa tendenza egocentrica fino a quando non si renderà conto che il proprio istinto dannoso controlla ogni sua decisione ed è la fonte primaria dello squilibrio in natura.

Se impariamo a costruire relazioni basate su comprensione, cura e collaborazione reciproca, si creerà una forza positiva in grado di ristabilire l’armonia in tutti i livelli della natura.  Questa è la verità cruciale che dobbiamo imparare. 

Quando impareremo a trascendere tutte le nostre tendenze egoistiche negative e a riconoscere che siamo tutti parti individuali di un unico meccanismo collegato e completamente interdipendente, comprenderemo anche che fare del bene agli altri fa bene anche a noi. Così come oggi siamo noi a distruggere tutta la natura, abbiamo anche il potere di ripararla. Il conto alla rovescia del pianeta è iniziato, ma abbiamo ancora una finestra di opportunità per controllarlo se cambiamo i nostri pensieri, le nostre azioni e i nostri desideri per migliorare le nostre relazioni umane.

Didascalia della foto:
Scultura di sabbia che celebra la Giornata dell’Ambiente  sulla spiaggia di Puri, nel Mar del Bengala,  creata dall’artista della sabbia Manas Sahoo per stimolare la consapevolezza delle persone sulla zona costiera, in occasione della Giornata Mondiale dell’Ambiente a Puri, a 65 km di distanza dalla capitale dello Stato indiano orientale  Odisha, Bhubaneswar, il 5 giugno 2021. (Foto di STR/NurPhoto)

 

Raggiungere obiettivi individuali e di gruppo

La vita è fatta di obiettivi e delle relative scelte per raggiungerli. Gli elementi chiave per il successo sono: la corretta valutazione delle condizioni a nostra disposizione prima di fissare un obiettivo e la capacità di lavorare in gruppo.

Quando definisco un obiettivo per me stesso, devo scoprire se è alla mia portata. Possiedo le inclinazioni e le capacità necessarie per raggiungerlo? Per esempio, se non ho una mente analitica, è una perdita di tempo fissare l’obiettivo di una carriera nell’ingegneria del software. Anche il fatto che molti lavorino nell’industria high-tech non mi garantisce una strada verso il successo.

Una volta decisa una direzione che mi attrae personalmente, dovrei avvicinarmi a un ambiente di persone che già lavorano in quel campo ed esaminare come si svolge la loro giornata, come sono le loro vite, le loro famiglie, il loro tempo libero e altro ancora. Può darsi che gli esempi che scoprirò, inerenti alle persone che svolgono effettivamente quei lavori mi porteranno a squalificare in anticipo alcune direzioni di sviluppo. Questo mi farà risparmiare tempo, risorse e false speranze.

I gruppi o i team di lavoro che condividono un obiettivo comune dovrebbero anche trovare esempi di successo nel loro campo e seguirli il più possibile. In linea di massima, la variabile più importante per il successo di un team è il livello di connessione reciproca che esiste all’interno del gruppo.

Naturalmente, ogni individuo del gruppo o della squadra pensa ai propri interessi, alle proprie prestazioni e alla propria promozione futura. In questo caso, il grado di coesione del gruppo è basso anche se si contribuisce e si collabora. Ma vale la pena di costruire un gruppo se si impara a farlo correttamente.

In questo tipo di gruppo il successo è illimitato.

Un gruppo, nella sua definizione più alta, significa che siamo tutti insieme, ci sentiamo connessi e funzioniamo come organi diversi in un unico corpo. Ognuno aiuta l’altro e lo capisce anche senza parole, grazie al desiderio comune di creare armonia e di raggiungere risultati di livello completamente diverso con l’assoluta convinzione di poterli ottenere da soli.

La forza del gruppo si crea quando, prima di affrontare un compito, ci poniamo l’obiettivo generale di essere connessi gli uni agli altri. Quando ci connettiamo l’uno con l’altro, emergono una mente e un sentimento comune, e da lì affrontiamo la sfida che abbiamo davanti. Senza connessione è impossibile fare un passo avanti.

Questo gruppo non è un insieme di individui, la somma di tutte le nostre capacità come singoli, ma una nuova entità con cui possiamo portare il collettivo in una connessione profonda tra di noi. La mente e i sentimenti del gruppo saranno di un livello superiore a quelli del singolo individuo, a prescindere dall’intelligenza e dal talento di ciascuno.

L’evoluzione è stata così fin dall’inizio. La formula della natura per promuovere lo sviluppo della vita è quella di creare sempre connessioni più avanzate tra i suoi diversi elementi. 

Se noi, in quanto esseri intelligenti, seguiamo questa tendenza e impariamo il metodo della corretta connessione tra le persone, scopriremo che questo ci eleverà come specie umana al prossimo stadio dell’evoluzione. In questo modo, ci adatteremo al movimento della forza generale della natura e otterremo i massimi risultati possibili in qualsiasi ambito della nostra vita.

Nessuna magia nelle lenti di Mojo

Mojo è un’azienda americana il cui obiettivo dichiarato è quello di aiutare le persone a “raggiungere il loro massimo potenziale nel lavoro, nel gioco e nella vita, rimanendo connessi a persone ed eventi nel mondo reale”. A tal fine, l’azienda ha sviluppato lenti a contatto a realtà aumentata che sono sempre connesse a Internet e aggiungono informazioni a qualsiasi cosa si stia vedendo. Se osservi le stelle, le lenti le uniranno con delle linee mostrandoti i segni che stai osservando. Se guardi una persona,  le lenti ti diranno che persona è, ecc.  Sembra magia ma penso che l’incantesimo svanirà presto perché i nostri problemi non hanno origine da ciò che sappiamo o non sappiamo ma da come ci relazioniamo a ciò che ci circonda.

Se avessimo bisogno di conoscenza, potremmo semplicemente impiantarci un chip con tutte le informazioni nel cervello, cosa che forse un giorno faremo, oppure proiettarle attraverso qualche campo elettromagnetico. Ma cosa ci darebbe in più l’informazione? Oggi la conoscenza di una persona media è nettamente superiore a quella di persone altamente istruite di due secoli fa. Questo ci ha reso più felici? Ha reso le nostre vite più soddisfacenti?

Raggiungere il nostro massimo potenziale non ha nulla a che vedere con ciò che sappiamo, ma con il motivo per cui vogliamo saperlo. Se vogliamo conoscere qualcosa e abbiamo un giusto scopo, useremo di gran lunga meglio ciò che già sappiamo di quanto potremmo fare con tutte le informazioni del mondo, ma senza il giusto scopo. E se abbiamo bisogno di acquisire conoscenza, lo riusciamo a fare in un istante, se lo scopo è giusto.

Per ” giusto scopo”, mi riferisco al beneficiario del mio lavoro. Se lavoro unicamente per beneficiare me stesso, incurante degli altri, questo sarà inevitabilmente lesivo sia per gli altri che per me. Invece se lavoro a beneficio degli altri, questo sarà utile per tutti, me incluso. 

La verità è che il mondo ha già abbondanza di tutto. Produciamo il doppio del cibo che consumiamo e nonostante ciò milioni di persone nel mondo hanno fame. Disponiamo di tecnologie in grado di fornire acqua pulita, aria pura, abitazioni sicure, buona assistenza sanitaria e buona istruzione a ogni persona sul pianeta, eppure miliardi di persone non hanno questi bisogni umani fondamentali. Perché? Non è solo perché non ci preoccupiamo l’uno dell’altro, ma anche perché vogliamo essere superiori agli altri, trattarli con condiscendenza e opprimerli. Questa è la radice di ogni sofferenza, di ogni carenza, di ogni abuso e sfruttamento dell’uomo, degli animali e dei minerali su questa terra.

Ciò di cui abbiamo bisogno, dunque, è educarci ad essere più umani, non più istruiti. Quando la connessione tra di noi diventa l’essenza della nostra vita ci colleghiamo alla sorgente della vita stessa, alla sua origine. La soddisfazione e la felicità non provengono dalla conoscenza ma dal senso di appartenenza. Quando sentiremo qual è il nostro posto, perché siamo qui e dove sta andando la nostra vita, saremo felici. L’informazione non può procurarci questa sensazione, può farlo solo la connessione tra noi ed il creato.

 

Vaiolo delle scimmie: il nuovo virus in città?

Non abbiamo finito di affrontare un virus che ne arriva un altro. Il vaiolo delle scimmie, un cugino solitamente lieve del virus mortale del vaiolo, esiste dal 1958. Finora, però, era endemico soprattutto in Africa. Ora, come ogni cosa al giorno d’oggi, è diventata una minaccia globale. Secondo l’ultimo aggiornamento dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), “ci sono ora un totale di 131 casi confermati di vaiolo delle scimmie… in 19 Paesi”. Tuttavia, l’OMS afferma anche: “Sebbene l’epidemia sia insolita, rimane “contenibile””.

Non sono sicuro che questo sia l’inizio di una nuova pandemia, anche se gli esperti non pensano che lo sia. In ogni caso, se non questa minaccia, un altro pericolo verrà dalla natura per aumentare la nostra sensibilità verso il modo in cui ci tratta.

Niente è più potente della natura stessa. A questo proposito, il grande pensatore e cabalista del XX secolo Baal HaSulam scrive nel suo saggio “La pace” che Dio e la natura sono sinonimi. Allora, cosa vuole Dio, o la natura, da noi? Perché sta punendo tutta l’umanità con gli stessi colpi nello stesso momento e perché sta accadendo proprio ora?

La risposta a queste domande viene dal nostro stesso comportamento. Il fatto che così tante persone si pongano queste domande molto serie è esattamente ciò che la natura “vuole” ottenere, se così si può dire. Ma perché la natura ci impone tutte queste limitazioni? Perché ci fa temere di avvicinarci ad altre persone per paura di essere contagiati? Proprio perché quando non abbiamo paura di avvicinarci gli uni agli altri, lo facciamo per farci del male o per usarci a vicenda, o per entrambe le cose.

La natura continuerà a sferrare colpi inaspettati finché non ci renderemo conto che la radice del problema non è nel regno animale, ma nei mali sociali della società umana. La nostra estraneità e il nostro odio reciproco stanno facendo ammalare i nostri corpi, le nostre menti e il mondo che ci circonda. Questa è la grande lezione che la natura sta cercando di insegnarci attraverso le sue calamità.

Poiché il mondo è un unico sistema connesso, tutto ciò che facciamo, diciamo o pensiamo si ripercuote sul mondo intero. L’alienazione e l’aggressività che dominano le relazioni umane permeano il resto dei livelli della natura e producono effetti negativi. Producono non solo nuove malattie, ma anche disastri naturali di ogni tipo. Tuttavia, esse sono in realtà il riflesso del nostro atteggiamento ostile verso l’altro e verso la natura, poiché sono influenzate dall’unico elemento malato dell’ecosistema globale: il genere umano.

Se vogliamo evitare che future piaghe ci flagellino, dobbiamo affrontare il problema alla radice: le relazioni dannose tra di noi e tra noi e la natura. Se smettiamo di nutrire pensieri negativi gli uni verso gli altri, smetteremo di diffondere la negatività nell’ecosistema globale.

Per raggiungere questo obiettivo, non dobbiamo concentrarci sulla negatività dei nostri pensieri, ma creare un’atmosfera positiva e di sostegno per tutte le persone. Se ci concentreremo sul contributo di ogni nazione e di ogni persona alla società e se le persone impiegheranno le loro capacità e i loro talenti per il bene comune, cambieremo l’atmosfera che ci circonda e smetteremo di far trasudare costantemente cattiveria nel mondo.

Questo, a sua volta, fermerà la produzione di agenti nocivi da parte della natura nei confronti dell’uomo.

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Provette etichettate “virus del vaiolo delle scimmie positivo e negativo”. Illustrazione del 23 maggio 2022. REUTERS/Dado Ruvic

Il pensiero è materia

Domanda: L’eminente neuroscienziato russo e pioniere della psicologia oggettiva Vladimir Bekhterev ha dichiarato che l’uomo è immortale. Egli riteneva che ciò potesse essere dimostrato in modo puramente logico per la semplice ragione che il pensiero è materia e, di conseguenza, significa che influisce sulla materia.

Cosa dice la Kabbalah a questo proposito?

Risposta: La saggezza della Kabbalah è assolutamente d’accordo con lui. Il fatto è che il pensiero è materia così come tutto il nostro mondo è materia e come anche il mondo spirituale è materia.

Cioè, la materia è desiderio. Il desiderio funziona da sé, che sia per assorbimento o per emanazione non ha importanza, ma è materia. Non c’è nulla che non sia materia. Il nostro pensiero e il nostro desiderio sono materiali quanto ciò che percepiamo come natura inanimata, vegetativa e animata. Dopo tutto, la materia può manifestarsi sotto forma di forze e di onde.

Se scaviamo più a fondo nella materia, allora ci sono solo onde lì. Dietro le onde, iniziamo a sentire che non c’è altro che un pensiero. Su questo pensiero, le nostre idee materiali su di esso si addensano gradualmente sotto forma di ammassi di materia.

Sembra che questa materia si stia sviluppando, ma non è essa stessa a svilupparsi, bensì il pensiero che è al suo interno. Nelle fasi di sviluppo del pensiero, il pensiero comincia a manifestare se stesso come azioni della materia sotto forma di forze, trasformazioni meccaniche di ogni tipo e così via. Ma tutto questo è un pensiero.

 

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Da KabTV’s “Primo piano. Segreti di immortalità” 7/1/11

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