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Che cosa trovo nella saggezza della Kabbalah

Un paio di settimane fa, un giornalista della rivista femminile francese Fémitude  mi ha scritto per chiedermi se fossi disposto a rispondere a una domanda per un articolo che stava scrivendo sulla saggezza della Kabbalah. La domanda era: “Cosa sta cercando di scoprire il Dottor Laitman attraverso la Kabbalah?”, aggiungendo che intendeva includere la mia risposta nel suo articolo.

Sono stato felice di risponderle perché mi fa molto piacere che in Francia ci sia interesse per la saggezza della Kabbalah, ma ancora di più perché si tratta di una rivista femminile e il ruolo sempre più rilevante che le donne ricoprono nella società, con mia grande gioia, rende ancora più importante che sappiano cos’è la Kabbalah e cosa dà.

Nel corso degli anni si sono diffusi molti miti su ciò che è la Kabbalah e le sono stati associati miti e storie di magia e idee esoteriche di ogni tipo. La vera Kabbalah, quella autentica, non ha nulla a che fare con misticismo, magia, amuleti o cose del genere.

La saggezza della Kabbalah studia le forze naturali e fisiche, proprio come la fisica di Newton studia le forze fisiche. La differenza tra le forze studiate da Newton e quelle studiate dalla Kabbalah è che gli strumenti non possono rilevare le forze di cui parla la Kabbalah. Per studiare le forze di cui parla la saggezza della Kabbalah, dobbiamo cambiare il nostro stesso io, la nostra natura.

La nostra natura intrinseca si concentra sull’interesse personale. Di conseguenza, vediamo il mondo come elementi separati bloccati in una lotta per la sopravvivenza. La Kabbalah dimostra che in verità non c’è lotta, ma complementarietà e sostegno reciproco. Tuttavia, per scoprirlo, dobbiamo cambiare la nostra percezione del mondo da egocentrica a olistica e inclusiva. Altrimenti, interpreteremo male tutto ciò che vediamo, in base alla nostra mente egoistica.

Una volta cambiati, scopriamo che il mondo non è composto da elementi che lottano l’uno contro l’altro per la sopravvivenza, come nel motto “la sopravvivenza del più forte”. Piuttosto, le forze dell’universo si equilibrano e si sostengono a vicenda. La battaglia esiste solo nella nostra mente, ma non possiamo vederla finché non acquisiamo una nuova prospettiva, come se passassimo da una visione bidimensionale a una visione tridimensionale.

La saggezza della Kabbalah abbraccia l’aver cura degli altri,  la solidarietà e l’unione.  Lo fa non solo perché è un modo di vivere più bello, anche se sicuramente lo è.  Se questa fosse l’unica motivazione, saremmo in una lotta costante contro la nostra natura, che cerca continuamente di tornare al narcisismo. La saggezza della Kabbalah sostiene valori pro-sociali e pro-umanità, perché quando espandiamo la nostra visione e riusciamo a vedere gli altri, vediamo la realtà effettiva e iniziamo a percepire le forze che una mente egocentrica non può cogliere. Una volta scoperto come funziona davvero il mondo, non torneremo più all’egoismo.

È per questo che studio la Kabbalah: per cambiare me stesso e per vedere il mondo come è realmente. Nell’ambito dei miei sforzi, insegno anche la Kabbalah, perché quando ci si rende conto del dono che fa a chi la studia, non si può tenerla per sé, perché non ci sarebbe niente di più egoistico che tenere nascosta al mondo una simile gemma.

 

*Per scoprire di più sulla Kabbalah, visitate il mio sito, la mia pagina personale o i nostri corsi di Kabbalah

Niente spaventa più di perdere la faccia

Di tutte le nostre paure, la peggiore è sicuramente quella di perdere la faccia, di provare vergogna. Per la maggior parte di noi, il rispetto di sé conta più ogni altra cosa. Se lo perdiamo, spesso preferiamo morire. Nessun’altra specie, oltre all’uomo, ne è dotata. Gli animali pensano solo a portare avanti la loro esistenza nel modo materialmente più confortevole possibile. Se incontrano un animale più forte, si ritirano senza pensarci due volte e certamente senza imbarazzo. Noi, invece, potremmo scegliere di andare al confronto con chi è considerato più forte di noi con la speranza di guadagnare rispetto o perché ci imbarazza confessare che siamo più deboli di qualcun altro. 

Le complicazioni che risultano da questo comportamento, guidato dal rispetto, sono enormi. Tuttavia, nonostante tutti i problemi che il perseguimento dell’onore ci causa, questo è anche il motore dello sviluppo. Se non fosse per brama di prevalere sugli altri, non avremmo sviluppato le civiltà e saremo ancora selvaggi come i nostri antenati che vivevano nelle caverne o dormivano sugli liberi per paura di essere sbranati dagli animali.

Prendiamo ad esempio il ragazzino di 8 anni che ha scalato El Capitan insieme  al padre. La roccia, un imponente monolite di granito alto 914 metri nel Parco Nazionale dello Yosemite, in California, è una delle sfide più ambite dagli scalatori. Cosa ha spinto il padre a mettere il figlio in un rischio del genere? Il desiderio di fama, il perseguimento dell’onore, come egli stesso ha detto: ” Che settimana incredibile! Sono così orgoglioso di Sam [il nome del ragazzino].”

Per molti il rispetto vale più della vita e evidentemente, in alcuni casi, vale più della vita dei figli.

Più ci allontanano dal livello animale verso il livello umano e maggiore è il valore che diamo al rispetto piuttosto che alla vita stessa. Invidiamo tutti quelli che hanno successo in qualcosa che consideriamo lodevole, perché vogliamo noi la lode. Alcuni invidiano addirittura personaggi famosi del passato, come ad esempio sovrani o conquistatori. Altri vogliono essere i migliori del loro ambito e sperano che i successi conseguiti sopravvivano  a lungo dopo la loro morte.

Comunque il desiderio di rispetto non è per natura negativo. C’è una buona ragione in tutto, compreso questo. Seguire questo desiderio ci fa migliorare e perfezionare valori e obiettivi. Ci eleva dai desideri materiali a quelli spirituali e alla fine ci porta ad abbandonare la nostra natura, perché il nostro egocentrismo ci sembrerà vergognoso.

Quando accade questo e il nostro perseguimento egoistico di rispetto ci conduce a volere diventare altruisti, comprendiamo che se non fosse stato per la ricerca dell’onore, non saremmo giunti a un obiettivo così nobile e sublime. Affinando e raffinando i nostri valori, arriviamo a comprendere che trascendere la brama per il rispetto, e concentrarsi sugli altri piuttosto che su noi stessi, è l’obiettivo più onorevole, ammirevole e rispettabile. Chi ha raggiunto questo non persegue più il rispetto e vuole evitare le complicazioni che accompagnano questa smania.

Sarà inoltre gentile con gli altri, non al fine di guadagnarsi il loro rispetto, ma perché la gentilezza stessa è la qualità più degna di rispetto.

La società “impianta” nelle nostre menti ogni tipo di idea riguardo a cosa è rispettabile o no. Spesso queste idee sono dannose per noi e per gli altri. Colui che si eleva dalla dipendenza del rispetto della società non viene influenzato dalle idee effimere e negative che riguardano cos’è rispettabile. Questa persona sente che la sottomissione al proprio ego è la condizione più vergognosa che esiste e che prendersi cura degli altri è la più ammirevole. Quando fare questa cosa ammirevole diventerà la motivazione che muove le persone all’azione, il mondo sarà un luogo ideale dove vivere.

Credito: Joe Baker, Instagram

La facciata di neutralità di Internet è stata smascherata

Dopo aver evitato per anni questa delicata questione, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha finalmente accettato il mese scorso “di decidere se le piattaforme di social media possono essere citate in giudizio nonostante una legge che protegge le aziende dalla responsabilità legale per ciò che gli utenti pubblicano sui loro siti”, scrive il New York Times. “La causa, intentata dalla famiglia di una donna uccisa in un attacco terroristico, sostiene che l’algoritmo di YouTube raccomandava video che incitavano alla violenza. … Sezione 230 del Communications Decency Act, una legge del 1996 intesa a promuovere … Internet … La legge stabilisce che le aziende online non sono responsabili della trasmissione di materiale fornito da altri. La Sezione 230 ha anche contribuito all’ascesa di enormi social network come Facebook e Twitter, garantendo che i siti non si assumessero nuove responsabilità legali con ogni nuovo tweet, aggiornamento di stato e commento”.

Tuttavia, la tutela dalla responsabilità sembra essere stata abusata. “Un gruppo crescente di legislatori, accademici e attivisti bipartisan è diventato scettico nei confronti della Sezione 230”, prosegue la notizia, “e sostiene che essa abbia messo al riparo le gigantesche aziende tecnologiche dalle conseguenze della disinformazione, della discriminazione e dei contenuti violenti che scorrono sulle loro piattaforme”.  Però, secondo i querelanti, “le piattaforme perdono le loro protezioni quando i loro algoritmi raccomandano contenuti, indirizzano annunci o introducono nuove connessioni ai loro utenti”.

Può sembrare una battaglia legale sul potere e sul controllo, ma la Sezione 230 può costare vite umane. “In un caso”, continua il giornale, “la famiglia di un americano ucciso in un attacco terroristico ha fatto causa a Facebook, sostenendo che il suo algoritmo aveva favorito la diffusione di contenuti prodotti da Hamas”. La causa è stata respinta, ma un giudice ha affermato che “i suggerimenti algoritmici di Facebook non dovrebbero essere protetti dalla Sezione 230”.

La libertà di Internet è un problema. Poiché la natura umana ci spinge a sfruttare qualsiasi cosa per il nostro bene, quando i giganti tecnologici possono sfruttare una piattaforma promuovendo contenuti che aumentano le loro entrate, nessuna morale li inibirà. Di conseguenza, hanno promosso video di decapitazioni dell’ISIS e altri raccapriccianti atti di terrore a persone che hanno identificato come potenziali simpatizzanti. La causa sostiene che la promozione di tali contenuti non solo aumenta le vendite dei giganti tecnologici, ma incoraggia anche potenziali terroristi ad agire.

È certamente necessario limitare la circolazione di video violenti o di contenuti che incitano alla violenza. Inoltre, uno degli argomenti contro i social media è che se indirizzano contenuti specifici a persone specifiche, non sono più “cartelloni pubblicitari” non coinvolti, come sostengono, ma attori attivi nel plasmare le menti di chi usa le loro piattaforme.

Da un lato, è impossibile tornare ai tempi in cui non c’era il cosiddetto “targeting”. D’altra parte, chi deciderà in che misura e con quali criteri effettuare il targeting? Dopotutto, siamo tutti soggetti alle stesse debolezze che inducono i giganti dei social media ad approfittare delle loro piattaforme. Come possiamo quindi garantire che chi è incaricato di monitorare i contenuti non cada negli stessi errori dei proprietari delle piattaforme di social media?

L’unica soluzione che vedo è quella di avviare un processo educativo completo, approfondito e a lungo termine che ci renda consapevoli della nostra interconnessione. Solo se ci rendiamo conto, al livello più profondo del nostro essere, che quando facciamo del male agli altri, facciamo del male a noi stessi, smetteremo di sfruttarci, opprimerci, maltrattarci e danneggiarci a vicenda.

Al momento, non siamo affatto vicini alla comprensione della necessità di questo processo. Ci stiamo spingendo con insistenza in un tunnel che finirà in una guerra mondiale nucleare. Se avvieremo questo processo educativo in tempo, invertiremo la tendenza che stiamo percorrendo. Se non lo faremo, ci infliggeremo reciprocamente sofferenze inconcepibili fino a quando non ci renderemo conto di essere dipendenti l’uno dall’altro.

Cum grano salis

Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha dichiarato che “il rischio di ‘Armageddon’ nucleare è il più alto degli ultimi sessanta anni dopo che il presidente russo Vladimir Putin ha rinnovato le sue minacce mentre i suoi militari arretrano in Ucraina”. Tuttavia, secondo un articolo pubblicato dal Los Angeles Times, la dichiarazione “sembrava andare oltre le valutazioni dell’intelligence statunitense”. Infatti, “i funzionari della sicurezza nazionale dicono di non avere prove che Vladimir Putin abbia piani imminenti per un attacco nucleare”. In questo caso, credo anch’io che dovremmo prendere le dichiarazioni di entrambi i leader cum grano salis.

Alla fine, anche i Russi temono le conseguenze dell’uso delle armi nucleari. L’umanità non ha mai visto che aspetto ha una guerra nucleare mondiale. I precedenti di Hiroshima e Nagasaki, per quanto orribili, non sono nulla in confronto alla distruzione massiccia e prolungata che una guerra mondiale nucleare infliggerà, soprattutto se si considera la potenza delle bombe atomiche e all’idrogeno di oggi.

Le minaccie della Russia e dei suoi alleati sono inquietanti, ma credo che sia proprio questa la loro intenzione: demoralizzare e spaventare. Non credo che ci sia un’intenzione reale di impiegare testate tattiche nucleari o qualsiasi altro tipo di armi nucleari.

Se l’umanità precipita in una guerra mondiale nucleare, non abbiamo idea di dove ci porterà o di come finirà. Credo che tutti se ne rendano conto e agiscano di conseguenza. C’è semplicemente troppo in gioco, troppo da perdere per giocare d’azzardo con una guerra nucleare.

Oltre a ciò, un attacco del genere metterebbe il mondo intero contro l’aggressore. Nessuna superpotenza, per quanto forte e armata, può opporsi al mondo intero. Pertanto, le minacce di usare armi nucleari e le dichiarazioni sconfortanti su un possibile Armageddon nucleare sono, a mio avviso, irrealistiche, almeno in questo momento.

Detto questo, nel complesso il mondo si sta certamente muovendo in una direzione negativa. Se non riusciamo a capire che la guerra non è il modo per ottenere vantaggi politici o economici al giorno d’oggi, alla fine precipiteremo in una terza guerra mondiale.

Gli sviluppi in Ucraina dovrebbero preoccupare tutti noi e incoraggiarci a coltivare legami più forti tra tutte le parti dell’umanità, per evitare un possibile crollo della società globale.

Se riusciamo a trarre una lezione da questa dolorosa guerra, forse daremo un senso alla miseria che milioni di persone stanno vivendo. Se non riusciamo a trarne insegnamento, avremo bisogno di un’altra guerra, probabilmente più crudele, per accettare che dobbiamo deporre le armi e trattare l’umanità come è realmente: una singola entità le cui parti sono interconnesse e interdipendenti.

Alla fine impareremo che la guerra non è la strada giusta. Spero solo che non lo impareremo per mezzo di una prova nucleare.

 

Didascalia della foto:
FOTO DI ARCHIVIO: incontro tra il presidente degli Stati Uniti Joe Biden e il presidente russo Vladimir Putin  per il vertice USA-Russia a Villa La Grange a Ginevra, Svizzera, 16 giugno 2021. REUTERS/Kevin Lamarque

 

I limiti dello sviluppo tecnologico

L’evidente contrasto tra ciò che è reale e la vita che potremmo vivere, sta diventando sempre più doloroso. E’ doloroso poiché potremmo vivere in paradiso. Invece stiamo trasformando le nostre vite nell’inferno terrestre attraverso le nostre stesse azioni.

Da un lato, alcune parti dell’umanità hanno sperimentato tutti gli stadi di sviluppo dall’età della pietra all’età del bronzo e del ferro, al feudalesimo e alla schiavitù, al socialismo e al capitalismo, all’autocrazia e alla democrazia. Allo stesso tempo, altre parti dell’umanità sono bloccate da qualche parte in questi tre primi periodi. Il divario tra gli stadi di sviluppo nei diversi luoghi del mondo crea lacune in ogni aspetto della vita delle persone e ostacola il progresso dell’umanità.

In uno stato del genere, la tecnologia, per quanto avanzata, non può essere d’aiuto. Anche quando viene introdotta, le persone la usano per maltrattarsi a vicenda piuttosto che per elevare l’umanità alle vette che potrebbe raggiungere. La soluzione ai problemi dell’umanità, quindi, non sta in una maggiore tecnologia, ma in un’educazione adeguata che elevi l’umanità dalla barbarie della prevaricazione e dell’annientamento reciproco.

Ciò che deve cambiare ora non è il modo in cui comunichiamo, ma il modo in cui ci connettiamo gli uni con gli altri. Se ci solleviamo dall’atteggiamento di costante belligeranza e smettiamo di comportarci come clan di cavernicoli in lotta per i territori di caccia, se iniziamo a comportarci come la società umana globale che siamo diventati, saremo in grado di trarre il massimo beneficio dalla tecnologia per il bene di tutta l’umanità.

Credo sia già evidente che oggi l’aggressività non paga. Il mondo non tollera più i prepotenti.

Dobbiamo giungere a capire che l’intera struttura e direzione dell’evoluzione va verso una maggiore collaborazione e cooperazione. Sebbene la natura abbia creato forze contraddittorie, non ci sono guerre in natura; c’è complementarità. Ogni elemento in natura dipende e sostiene il suo opposto. Se lo capissimo, raccoglieremmo i benefici della complementarietà invece di cercare disperatamente di distruggere quelli che consideriamo nemici.

Nella nostra cecità, non vediamo che la nostra sopravvivenza e la nostra prosperità dipendono dalla sopravvivenza e dalla prosperità di questi stessi nemici. Se riuscissimo a vedere questa semplice verità, capiremmo la follia della guerra.

Non abbiamo idea di quali poteri scateneremo quando inizieremo a cooperare invece di annientare. Tutto ciò che attualmente lavora contro di noi inizierà a lavorare a nostro favore perché anche noi lavoreremo a suo favore.

Attualmente, abbiamo l’impressione che tutto cerchi di distruggere o dominare tutto e tutti. Complementarietà significa l’esatto contrario: tutto sostiene e supporta tutto e tutti gli altri. Se l’universo non funzionasse in questo modo, non esisterebbe nemmeno per una frazione di secondo. Quando lo capiremo e inizieremo a operare di conseguenza, scopriremo una nuova realtà fatta di poteri illimitati e di abbondanza, che lavorano tutti a nostro favore.

L’unico modo per fare queste scoperte è cambiare il nostro atteggiamento, come detto sopra, dalla belligeranza alla cooperazione. Tutte le spaccature e le inimicizie che attualmente percepiamo nell’umanità scompariranno e le persone lavoreranno come un’unica unità i cui elementi svolgeranno i rispettivi ruoli in perfetta armonia con tutti gli altri elementi della creazione. Semplicemente cambiando la nostra mentalità, entreremo nell’era dell’abbondanza.

Chi ti ha dato il diritto?

Una volta alla settimana, il regista Semion Vinokur mi intervista nel corso di una trasmissione chiamata Novosti (Notizie). Nel programma, Semion mi rivolge domande sull’attualità e presenta i commenti dei telespettatori. In una trasmissione recente, Semion mi ha posto una domanda pungente da parte di una spettatrice che si riferiva a se stessa (o forse a se stesso) come Lei. Di seguito è riportata la trascrizione tradotta della domanda, con le successive domande di Semion e le mie risposte.

Domanda: Lei ti scrive quanto segue: continuo a sentire nei tuoi videoclip che solo gli Ebrei possono cambiare il mondo. Perché attribuisci una tale responsabilità alla tua nazione? Inoltre, chi ti ha dato il diritto di farlo? Per favore rispondi alla mia domanda e non dirmi che è scritto nella Torah.

Risposta: Perché il metodo per correggere il mondo si trova presso gli Ebrei. Ci è stato consegnato migliaia di anni fa.

Domanda: Vedi, ci stiamo soltanto mettendo in mostra!

Risposta: Possiamo metterci in mostra più di quanto non lo siamo stati nel corso della storia?

Domanda: Sì, ma attira rancore su di noi!

Risposta: Lo capisco, ma è meglio capire che questa è la verità, e che sei odiato proprio per questo. In altre parole, io accetto la loro conclusione e dico: “Sì, avete ragione, il problema è nostro, la colpa è nostra”.

Domanda: Quindi non possiamo scappare da questo?

Risposta: No, no. Ma ucciderci non renderà le cose più semplici nel mondo: è meglio se ascoltiamo e riflettiamo su come possiamo realmente usare questa verità eterna. 

Domanda: Non c’è alcuna prova di ciò che stai dicendo.

Risposta: Se noi, Israele, facciamo ciò che dobbiamo fare, ci saranno le prove.

Domanda: Ma nel frattempo, per molti, si tratta solo di parole. 

Risposta: Certo, ma dall’altro lato, possono dire: “Oh, è per questo che li odiamo, questo significa che abbiamo ragione a odiarli”.

Domanda: Ma cosa succede se una persona non odia gli Ebrei? Molte persone non odiano gli Ebrei, e noi in pratica diciamo loro: “Voi odiate gli Ebrei!”. Facciamo molti filmati di questo tipo con te, e le risposte sono sempre sulla stessa linea: “Eletti? Il popolo eletto? Chi ti ha dato questo diritto? Perché ne sei così sicuro?”

Risposta: Ma sono loro stessi a dirlo, tutta l’umanità! L’umanità ha un atteggiamento speciale nei confronti degli Ebrei, un’opinione speciale, una richiesta speciale. Questa questione ci accompagna da migliaia di anni; è ora di smettere di coprirla e di far finta che non esista.

Domanda: Cosa deve fare un non Ebreo se vuole ascoltare ciò che dici?

Risposta: Dovrebbe semplicemente ascoltare ciò che dico.

Domanda: Anche se non è Ebreo?

Risposta: Non fa alcuna differenza se è Ebreo o meno.

Domanda: Ma stai dicendo che gli Ebrei devono fare qualcosa di specifico!

Risposta: Esatto. Gli Ebrei sanno cosa li distingue e, di conseguenza, rivelano la loro unicità alle nazioni del mondo.  Allora insieme al resto delle nazioni, devono prendersi la responsabilità della trasformazione di tutta l’umanità, della natura, di ogni cosa che esiste.

Domanda: Trasformazione da cosa e in che cosa? 

Risposta: Trasformazione dall’egoismo assoluto dell’umanità, come lo vediamo oggi, al suo opposto, alla connessione.

Domanda: È questo il compito degli Ebrei?

Risposta: È proprio questo che spetta agli Ebrei.

Domanda: E il resto del mondo?

Risposta: Il resto delle nazioni del mondo deve ascoltare ciò che stanno dicendo gli Ebrei, dato che forse loro (gli Ebrei) non hanno tutti i torti, forse proprio questo ci può salvare. 

Domanda: Ma pochissimi Ebrei parlano di connessione e di cambiamento della nostra natura; la maggioranza degli Ebrei non dice nulla del genere.

Risposta: La maggioranza non conosce la propria responsabilità e non comprende il proprio compito; è come tutti gli altri.

Domanda: OK, continueremo a discuterne, come sempre; forse ci ascolteranno, e forse no.

Risposta: Ci ascolteranno, di sicuro.

Domanda: Che cosa ti rende così fiducioso?

Risposta: Ripongo la mia speranza nel fatto che il mondo non cambierà in un attimo. Non passerà istantaneamente a un nuovo stato. Ma alla fine la natura costringerà tutte le nazioni del mondo, e in primo luogo gli Ebrei, a riflettere su cosa significhi veramente correggere il mondo, e a cosa dovremmo arrivare, e prima di tutto gli Ebrei.

Domanda: E’ chiaro, ma non è semplice.

Risposta: Non è semplice, ma il tempo a nostra disposizione sta per scadere.

Per spiegazioni più elaborate sul ruolo del popolo ebraico nel mondo, consultate i miei libri:  Like a Bundle of Reeds: Why unity and mutual guarantee are today’s call of the hour, e The Jewish Choice: Unity or Anti-Semitism, Historical facts on anti-Semitism as a reflection of Jewish social discord.

La verità, l’amore e la connessione tra loro

“La verità è negli occhi di chi guarda”, recita una famosa massima. Nell’era delle false notizie, è più difficile che mai distinguere il vero dal falso. Come possiamo decidere a chi credere? Come possiamo sapere qual è la strada giusta quando tutti sembrano essere disonesti? La filosofia, la matematica, la legge e la scienza utilizzano tutte tecniche diverse per determinare la verità e definirla. Anche la saggezza della Kabbalah ha la sua definizione: La verità è prendersi cura degli altri. Il Creatore del mondo lo ha creato con la qualità dell’amore nei confronti di tutte le creazioni, altrimenti non le avrebbe create, e in ebraico Emet [verità] è il nome del Creatore. Pertanto, la verità è il Creatore ed è una relazione gentile con gli altri. Ogni altra relazione con gli altri, quindi, è falsità, o quasi.

Gentilezza, o attenzione per gli altri, significa che mi relaziono con gli altri con gentilezza e attenzione, che penso al loro bene. Non devo sapere cosa è bene per loro e cosa non lo è; non si tratta di ciò che so o non so, ma di come mi sento nei loro confronti. Prendendomi cura degli altri, saprò anche come trattarli in modo da far loro del bene.

Ne consegue che, per diventare sinceri, dobbiamo imparare a prenderci cura degli altri, dato che la nostra natura innata è l’egoismo. Per farlo, dobbiamo inserirci in una società in cui possiamo coltivare questi sentimenti verso gli altri, in cui posso mostrare agli altri che sto agendo verso di loro secondo verità, cioè con gentilezza, e loro ricambiano questa condotta.

La verità, quindi, non è qualcosa di assoluto. La misura della mia veridicità dipende dal livello della mia gentilezza verso gli altri. La verità assoluta è l’obiettivo ultimo dei nostri sforzi, la correzione finale. È il culmine di un processo di correzione delle nostre relazioni.

Si noti che non dobbiamo correggerci o cambiare in alcun modo noi stessi. Tutto ciò di cui abbiamo bisogno è cambiare il nostro modo di relazionarci, il nostro atteggiamento verso gli altri. Se abbiamo buone intenzioni nei confronti degli altri, stiamo agendo verso di loro con sincerità. Se intendiamo danneggiare gli altri, stiamo agendo nei loro confronti con falsità. In realtà è molto semplice.

C’è un altro detto che dice che solo i bambini e gli ubriachi dicono la verità. È vero, perché quando cresciamo e diventiamo più sofisticati, nascondiamo le nostre cattive intenzioni nei confronti degli altri. Sfruttiamo gli altri e ci relazioniamo bene con loro solo quando serve al nostro interesse egoistico. Di conseguenza, dobbiamo nascondere le nostre cattive intenzioni agli altri e anche a noi stessi, perché è molto sgradevole pensare a noi stessi come persone egoiste. In un certo senso, l’unica verità del nostro mondo è l’ipocrisia.

Possiamo cambiare il nostro egoismo innato e diventare persone vere e gentili. Tuttavia, non possiamo farlo da soli. Per cambiare noi stessi, dobbiamo inserirci in un contesto sociale che mi dimostri costantemente che gli altri sono gentili, o almeno più gentili di me. Usare l’invidia in questo modo può elevarmi dalla mia attuale disposizione egocentrica a uno stato di premura per gli altri, e cambiare le mie qualità da premura per me a premura per gli altri è considerato come passare dalla falsità alla verità.

Non possiamo fare a meno di partire dalla falsità: è la nostra natura innata. Tuttavia, dovremmo usarla solo per il tempo necessario a decidere che vogliamo cambiare noi stessi. Una volta stabilito che vogliamo cambiare, dobbiamo elevarci al di sopra della nostra natura, con l’aiuto dell’ambiente, come ho appena detto, e acquisire sempre più gentilezza.

Vediamo che dipendiamo dagli altri quando si tratta di cambiare noi stessi. Pertanto, se vogliamo avere successo, dobbiamo fare in modo che anche molte altre persone vogliano cambiare se stesse in meglio. Ne consegue che, come dice sempre la saggezza della Kabbalah, l’individuo e la società dipendono l’uno dall’altra, il che implica che se la società non riesce, non ci riuscirà nemmeno il singolo individuo.

 

 

 

Il bisogno di uscire: la mia storia personale

Ricordo come mi guardavano tutti, cinquant’anni fa, in Bielorussia, quando dicevo che dovevo andarmene da lì e andare in Israele, che non avevo altra scelta e che non volevo altro nella vita che venire lì, in Israele. La gente mi faceva pressione da tutte le parti: “Non partire!”. “Cosa farai lì?” “Potrebbero metterti in prigione!” e molti altri avvertimenti. Ma non potevo ascoltare; sapevo che dovevo andare, che quella era la mia strada.

Dopo aver presentato la mia domanda alle autorità sovietiche per emigrare in Israele, sono diventato un “refusenik” per diversi anni. I “refusenik” erano uomini che richiedevano un permesso di emigrazione dall’ex Unione Sovietica in Israele, ma le autorità respingevano la loro richiesta. Alla fine, tuttavia, ho ricevuto il permesso e ho fatto “Aliyah” (lett. “ascesa”, un termine che designa l’emigrazione in Israele).

Ma quando sono arrivato in Israele, la storia si è ripetuta. Ho iniziato a fare domande, cercando qualcuno che mi spiegasse perché viviamo, qual è lo scopo della vita. Di nuovo, le persone mi guardavano con imbarazzo. “Perché? Di cosa hai bisogno?”, mi chiedevano. Dovevo trovare risposte alle domande sull’universo e sull’esistenza, e sapevo che qui, in Israele, la risposta doveva essere trovata.

In questo modo, sono stato guidato  dall’alto nella terra d’Israele, dove, dopo una lunga ricerca, in una piovosa notte d’inverno, sono stato accompagnato dal mio saggio e gentile maestro, RABASH. Egli mi ha aperto i libri della Kabbalah e mi ha mostrato il significato spirituale degli insegnamenti di Israele. Egli ha risposto alle mie domande una alla volta, con una logica scientifica e in perfetto ordine, domande che mi avevano ossessionato fin dall’infanzia.‎

Come il padre di RABASH, il grande cabalista Baal HaSulam, il mio maestro viveva e insegnava all’interno della comunità ebraica ortodossa. La mia vocazione era quella di essere una pietra miliare nel portare la saggezza della Kabbalah al grande pubblico, alle persone laiche. Quando ho iniziato a insegnare, la gente non ne aveva bisogno. “Cos’è, filosofia?”, mi chiedevano, “È una specie di psicologia?”. “Perché ne ho bisogno? Non è una religione?”. “Devo pregare tre volte al giorno?”. Molto gradualmente, ho imparato a spiegare la saggezza e le persone hanno cominciato a capire di cosa si tratta veramente.

In parte, i miei sforzi hanno contribuito a questo processo. Ero disposto a fare letteralmente di tutto per far capire agli Israeliani il tesoro che hanno. Col tempo, la natura ha fatto il suo corso e nelle persone ha cominciato a emergere un impulso interiore a conoscere la saggezza, un desiderio di capire da dove veniamo e dove stiamo andando.

Oggi ci stiamo avvicinando allo stesso stato che ho provato in Russia e in Israele, uno stato che fino ad oggi è arrivato solo a pochi. Diventerà un torrente che ci spingerà nello stretto, perché se prima potevamo accontentarci di un appartamento comprato con grandi sforzi, di un buon stipendio, di una pensione garantita e persino di viaggi occasionali all’estero, presto queste soddisfazioni non ci spingeranno più ad alzarci al mattino. Sentiremo che non possiamo continuare a vivere così; le soddisfazioni materiali non ci appagheranno più.

Il peggioramento della situazione in Israele aumenterà la pesantezza e sentiremo che stiamo soffocando, che siamo messi all’angolo e non abbiamo dove scappare, che dobbiamo evadere, uscire dalla prigione buia e stretta e andare alla luce del giorno, in un luogo dove c’è spirito!

Questo luogo angusto è la nostra vita, dove ci sentiamo soli e i nostri occhi sono sempre alla ricerca di fugaci piaceri corporei. Sentiamo lo spirito della vita solo quando usciamo dalle ristrettezze per entrare nel sentimento degli altri, quando includiamo i nostri fratelli in noi, ci prendiamo cura di loro e ci uniamo a loro come una cosa sola.

Questo compito è nascosto negli insegnamenti di Israele, nella saggezza della Kabbalah. È il metodo per uscire dai nostri confini per entrare nel cuore dei nostri amici e da lì includere il mondo intero, tutte le persone e persino gli animali, le piante e i minerali. La Kabbalah è l’insegnamento che ci porta alla connessione con la forza superiore che crea tutto, sostiene tutto e include tutto e tutti al suo interno.

Niente panico, ci sono i soldi dietro

Una nuova serie televisiva israeliana, intitolata: “Don’t Panic”, esamina se Israele è preparato ad affrontare eventi di distruzione di massa come terremoti, tsunami o fughe di gas velenosi. Non sorprende che la serie concluda che Israele è impreparato ad affrontare tali eventi: non c’è abbastanza personale di soccorso, i residenti non sanno cosa fare in quale situazione e le infrastrutture del paese sono inadeguate in molti punti. Inoltre, la risposta della gente a queste conclusioni è solitamente l’indifferenza. Non sono un esperto, ma tendo a concordare con il sentimento del pubblico perché non credo che il pericolo sia così grave come la serie sembra dipingere. Credo che dietro a questa serie, e ad altri annunci di catastrofi, ci sia la domanda: “A chi giova?”.

Penso che l’interesse dietro questi spettacoli sia quello di intimidire la gente e di intimidire il paese. È vero che Israele si trova in un’area soggetta a terremoti, ma il modo in cui la questione viene presentata e gestita dipende dagli interessi di politici e scienziati. Alcuni vogliono usare le informazioni per ottenere più potere, altri per ottenere finanziamenti per i loro studi, quindi i risultati vengono presentati in modo da agevolare le parti interessate.

Ancora una volta, vediamo che il problema non sono i pericoli che la natura pone, ma i pericoli che l’ego pone. Esso distorce tutto a suo favore e deforma la verità per servire se stesso. Le persone lo percepiscono e quindi dubitano della credibilità delle informazioni.

Se vogliamo evitare eventi di distruzione di massa, dobbiamo affrontare il problema alla radice, cioè il nostro egoismo e il fatto che non abbiamo in mente il bene comune, ma solo il nostro. Non sono solo i politici e i dirigenti ad agire in questo modo, ma tutti noi. L’egoismo dei politici è certamente il più evidente. Tuttavia, non si tratta di un fenomeno unico, ma di un riflesso di tutta la nostra società.

Di conseguenza, se vogliamo un’informazione imparziale, dobbiamo cambiare l’atteggiamento delle persone nei confronti della società. Senza un processo educativo che elevi il valore della preoccupazione per gli altri al di sopra della preoccupazione per noi stessi, non cambierà nulla.

Non dovremmo dire che è impossibile perché fino ad oggi non ci abbiamo mai provato. Inoltre, l’idea che sia impossibile è la protezione dell’ego stesso contro i nostri sforzi per detronizzarlo dal governo della nostra società e delle nostre relazioni.

Questo sforzo non può avere una portata limitata. Deve essere un processo educativo che coinvolga tutta la società, ovunque. L’impulso per un’impresa così ambiziosa dovrebbe venire dal fatto che non vediamo futuro, dalla consapevolezza che la nostra scarsa considerazione reciproca ci distruggerà se non diventiamo premurosi. Se c’è una verità che non dovremmo avere paura di esporre, è che nulla è vero perché il nostro ego deforma la nostra percezione per favorire noi stessi. Se non cambiamo questa situazione, l’ego ci porterà davvero alla distruzione di massa.

Didascalia della foto:
Un operaio  accanto a un sismografo antiquato durante una dimostrazione di un nuovo sistema di allarme precoce per terremoto, che fa scattare le sirene se una rete nazionale di 120 stazioni di monitoraggio sismico rileva un forte terremoto al Geological Survey of Israel, a Gerusalemme 7 febbraio 2022. REUTERS/Amir Cohen

L’era dell’unione

Perché sembra sempre più che l’umanità sia il bullo del quartiere? Tra le nazioni, nei rapporti personali, con i colleghi di lavoro, tra i coetanei a scuola e nei confronti della natura, siamo maldestri come un elefante in un negozio di porcellane, rompendo tutto ciò che tocchiamo e lasciando un caotico disordine dietro di noi. C’è una ragione per questo: Il mondo intorno a noi sta cambiando. Mentre siamo intrappolati nella mentalità di dover lavorare solo per noi stessi e che se siamo deboli, gli altri ci mangeranno, la vita ha rivelato la sua natura connessa e ci mostra che se agiamo da soli, falliamo. La realtà ha inaugurato l’era dello stare insieme e, se vogliamo avere successo, dobbiamo adattarci.

In questa nuova era, non possiamo avere successo da soli. La forza delle persone non deriva dalle proprie capacità, ma dalla capacità di connettersi e collaborare con gli altri.

Quando pensiamo alla collaborazione, spesso pensiamo di dover scendere a compromessi e rinunciare a cose che vorremmo per mantenere un legame. Non è più così. Al contrario, la nuova unione richiede di utilizzare tutte le nostre capacità, i nostri talenti, le nostre idee e le nostre aspirazioni. Tuttavia, li useremo per il bene comune piuttosto che per il nostro.

Attualmente, usiamo le nostre capacità per avvantaggiare noi stessi e impedire agli altri di ferirci o superarci. Questo ci pone in una guerra costante con gli altri. Di conseguenza, spesso annulliamo le buone idee e i punti di forza degli altri, spesso loro annullano i nostri, e tutti finiamo per essere stanchi, logori, con potenzialità non realizzate, e l’intera società ci rimette.

Quando usiamo i nostri vantaggi individuali per il bene comune, rafforziamo le qualità degli altri, miglioriamo i risultati e facilitiamo la realizzazione del loro pieno potenziale. Tutti ne traggono beneficio. Ci sentiamo appagati, sicuri di noi stessi, benvenuti nel nostro ambiente sociale e tutta la società ottiene giovamento dal nostro contributo. L’energia che prima spendevamo per l’autodifesa viene orientata allo sviluppo e i risultati ottenuti ci spronano a dare ancora di più di noi stessi alla collettività.

L’unica cosa che ci impedisce di vivere questa società da sogno è il nostro ego ostinato. Finché lo lasciamo governare, continuerà a distruggerci e a demolire la nostra società. Alla fine, distruggerà tutto e ci renderemo conto che non abbiamo altra scelta che lasciare andare il nostro ego.

Se ce ne rendiamo conto ora e non più tardi, ci eviteremo questa triste prospettiva e porteremo il futuro nel presente. Se ci aiutiamo l’un l’altro ad elevarci al di sopra di noi stessi, saremo in grado di farlo, perché nell’era dell’unione, anche elevarsi al di sopra dell’ego è possibile solo se si lavora insieme.