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Dal cieco che guida il cieco al vedente che guida il cieco

Due studenti guardano una bandiera che sventola. Uno  dice: “La bandiera si muove”. L’altro risponde: “No, si muove il vento, che fa muovere la bandiera”. Il loro insegnante arriva e dice: “Vi sbagliate entrambi. È un pensiero che si muove nella vostra testa”.

Questa allegoria illustra come ognuno di noi abbia una percezione diversa della realtà. Ognuno di noi ha una percezione diversa perché è cresciuto su basi e ideali diversi. Uno vede la bandiera che si muove, l’altro vede il vento che muove la bandiera e l’altro ancora vede il pensiero che si muove nella nostra testa e non siamo d’accordo sul fatto che la bandiera si muova.

Si pone quindi la questione se sia possibile raggiungere decisioni reciproche. Il Sinedrio, per esempio, era un organo di governo spirituale che esisteva in Giudea circa 2.000 anni fa. Come riuscivano a prendere decisioni con così tante persone, che discutevano molto e avevano opinioni diverse? Queste persone capivano che tra loro c’era chi era più vicino alla sensazione delle forze altruistiche e connettive della natura, che comprendeva e conosceva le leggi della natura più degli altri, e più o meno si piegavano a loro.

Una persona che è più elevata nel dominio della realtà dovrebbe avere un’opinione più accurata di una persona che è più arretrata nel suo dominio e nella sua coscienza. Sarebbe quindi saggio annullare le nostre opinioni nei confronti di queste persone. Naturalmente, questo solleva la questione: Come si può determinare chi è più elevato nel suo dominio della realtà? Ci troviamo di nuovo di fronte al problema di come ognuno percepisca la realtà in modo diverso e, in effetti, al nostro attuale livello di percezione, è impossibile fare una tale valutazione.

Ci troviamo quindi nello stato in cui si trova attualmente il nostro mondo: il cieco che guida il cieco. Se vogliamo dare una possibilità al mondo, dobbiamo renderci conto che non dipende da noi, che siamo limitati nella nostra comprensione e nei nostri sentimenti. Dare una possibilità al mondo dipende dalle leggi della natura che operano al di là della nostra comprensione. Se arriviamo a capire che le leggi della natura controllano tutto e tutti e desideriamo accettare queste leggi su di noi, allora saremo pronti a cercare i più saggi tra noi e a seguirli. Si passerebbe quindi alla guida dei ciechi da parte dei vedenti.

L’umanità è in un processo di sviluppo verso questo stato. La nostra particolare epoca è caratterizzata da un’umanità che diventa orfana. Stiamo passando a una nuova era caratterizzata da interconnessioni sempre più strette su scala globale e le idee che in passato ci tenevano uniti a livello locale, regionale e nazionale non sono più utili nella realtà di oggi, interconnessa a livello globale.

Quando è morto il mio maestro, il kabbalista Baruch Ashlag (il Rabash), ho capito chiaramente che dobbiamo ancora maturare, che dobbiamo ancora progredire verso questo stato. Più maturiamo, più rifiutiamo i falsi gestori della nostra vita e cerchiamo quelli che possiedono un vero raggiungimento di livelli superiori di realtà.

Contenuti scritti ed editati da studenti, basati sulle loro conversazioni con il Rav dr. M. Laitman.

 

La spiritualità non è per gruppi isolati. È per l’umanità.

Nelle prime ore del mattino, entravo in cucina e trovavo piatti con avanzi di hummus, cipolle, pane e un po’ di liquore. Era un luogo in cui il legame tra le persone andava oltre la routine quotidiana. Questa consapevolezza mi è apparsa quando ho approfondito la saggezza della Kabbalah sotto la guida del mio maestro, il kabbalista Baruch Shalom HaLevi Ashlag (il RABASH). Intorno a me sedevano sei anziani, discepoli del grande kabbalista Yehuda Ashlag (Baal HaSulam), che formavano un piccolo gruppo affiatato, quasi un mini kibbutz all’interno della città.

Questo gruppo viveva un’esistenza semplice, lavorando solo il necessario e trascorrendo le ore rimanenti insieme a studiare e a gustare i pasti. Il cibo non era il punto focale; si trattava della connessione dei cuori, un’emulazione del nostro stato spirituale come un’unica anima vitalizzata da un’unica forza d’amore e di donazione. Il Baal HaSulam sognava di creare un kibbutz con i suoi studenti per incarnare lo stile di vita di quella che lui chiamava “l’ultima generazione”: una vita di condivisione spirituale e di collaborazione materiale.

Tuttavia, se la Kabbalah descrive come raggiungere la destinazione finale delle nostre vite nel modo più breve, piacevole e consapevole possibile, uno stato di unità globale dell’umanità, allora perché istituire una società chiusa? Non dovrebbero vivere in mezzo a tutti? L’idea non era di isolarsi, ma di costruire una piccola società, un nucleo per il popolo unito di Israele, gettando le basi per una nazione unita.

Anche dopo la morte di Rabash e la formazione di un gruppo chiamato “Bnei Baruch” (cioè i “figli di Baruch”, in riferimento al mio maestro), il sogno di fondare un kibbutz è rimasto costante. Abbiamo esplorato le opzioni in tutto Israele, a nord e a sud, alla ricerca di un luogo in cui vivere semplicemente e in cui poterci dedicare agli insegnamenti. Tuttavia, più cercavamo, più trovavamo le porte chiuse a quest’idea e ci rendevamo conto che non era destinata alla nostra generazione. Dovevamo connetterci nelle condizioni attuali.

Mentre ci avviciniamo all’ultima generazione che Baal HaSulam ha descritto, l’era del Messia, dove il “Messia” (ebr. Moshiach) è la forza (ebr. Moshech) che ci tira fuori dai nostri ego individuali per entrare in uno stato unificato, l’unità attraverso l’istituzione di una piccola società chiusa sembra un’idea sempre più lontana. Oggi, invece, l’idea dell’unità deve raggiungere l’umanità in generale e coloro che si identificano con la necessità di unirsi al di sopra delle nostre innate pulsioni egoistiche formano il piccolo gruppo pionieristico dell’umanità che avvia tale connessione. Questo gruppo non si trova fisicamente in un kibbutz o in un campo chiuso, ma piuttosto un gruppo di desideri che anelano alla realizzazione del nostro futuro stato unificato più avanzato e che sono disposti ad applicarsi per portare l’unità in primo piano tra i valori e le priorità umane.

In sostanza, la ricerca di un luogo chiuso per condurre il nostro studio e la nostra connessione ci ha portato a svegliarci da un sogno alla realtà che i kabbalisti del nostro tempo sottolineano: che l’unità di oggi non è solo per un gruppo chiuso, ma per l’umanità in generale, e il nostro percorso verso l’unità consiste nell’adattarsi alle condizioni globali della nostra epoca.

Contenuti scritti ed editati da studenti, basati sulle loro conversazioni con il Rav dr. M. Laitman.  

Perché io ho la necessità di provare vergogna?

Ci è stata data la qualità della vergogna affinché, grazie a determinati sforzi, ci eleviamo gradualmente dalla nostra vita corporea innata, in cui siamo chiusi nei nostri desideri di godere per il proprio tornaconto, alla vita spirituale nell’opposto desiderio di dazione.

Nel metodo della Kabbalah, ci relazioniamo con la vergogna in modo costruttivo come una tappa del nostro avanzamento verso la meta spirituale, il raggiungimento del desiderio di donare, e lo facciamo in un contesto di gruppo. Cioè, ci circondiamo di persone che condividono un desiderio simile di raggiungere un obiettivo spirituale nella vita e iniziamo a lavorare su come avvicinarci e connetterci a queste persone secondo il principio “ama il tuo amico come te stesso”.

Così facendo, ci mettiamo nelle condizioni di attrarre la forza d’amore e di dazione della natura e, quando sentiamo questa sublime forza spirituale, vediamo la nostra natura egoistica opposta ad essa. Questo processo continua fino a quando non ci vergogniamo della nostra natura rispetto alla natura spirituale altruistica e usiamo questa rivelazione in modo costruttivo, per uscire dal nostro attuale livello corporeo di desiderio di ricevere costantemente l’appagamento per il beneficio personale e salire al livello della natura stessa, con un desiderio  di donare e amare in modo puro.

Contenuti scritti ed editati da studenti, basati sulle loro conversazioni con il Rav dr. M. Laitman.  

La vita sarebbe migliore senza i disaccordi?

Potrebbe sembrare che la vita sarebbe migliore senza disaccordi, poiché in tal caso non avremmo guerre e conflitti, ma è ben lontano dalla realtà. Senza disaccordi, le nostre vite sarebbero unilaterali, monodirezionali e l’umanità non sarebbe in grado di evolvere.

Nel suo articolo “La Libertà”, il Kabbalisata Yehuda Ashlag (Baal HaSulam) scrive di come l’umanità progredisca attraverso i disaccordi: 

“Dobbiamo stare attenti a non avvicinare le opinioni delle persone a tal punto che il disaccordo e la critica possano cessare tra i saggi e gli studiosi, perché l’amore per il corpo porta naturalmente con sé la vicinanza delle opinioni. Se la critica e il disaccordo dovessero scomparire, cesserebbe anche il progresso dei concetti e delle idee e la fonte della conoscenza nel mondo si esaurirebbe”.

Tuttavia, la necessità di avere disaccordi non richiede la guerra. Possiamo risolvere le controversie con altri metodi, senza arrivare a conflitti fisici.

Finiamo in guerra perché non abbiamo ancora raggiunto un livello di sviluppo tale da poter risolvere le nostre dispute e i nostri disaccordi in modo maturo. Il modo in cui attualmente ricorriamo alle guerre ci fa sembrare dei bambini piccoli.

I disaccordi possono favorire un’evoluzione positiva, se si arriva a prendere decisioni in merito attraverso un discorso civile.

La critica della prospettiva dell’altro è un aspetto chiave di un disaccordo, ed è cruciale per lo sviluppo dell’umanità, come Baal HaSulam scrive nello stesso articolo. Senza critica, non saremmo in grado di svilupparci.

“Più ci sono contraddizioni tra le opinioni e più ci sono critiche, più aumentano la conoscenza e la saggezza e le questioni diventano più adatte a essere esaminate e chiarite”.

È difficile per noi accettare le critiche perché la nostra struttura egoistica, che ci fa considerare superiori agli altri, non vuole essere messa in discussione. Ma saremmo davvero poco saggi se ci opponessimo alle critiche. Quando comprendiamo che più critiche, opinioni e disaccordi ci sono, più possiamo scoprire chi, dove, come e perché la natura ci ha plasmato in una forma così contraddittoria con se stessa, allora più possiamo rivelare la verità su noi stessi e sulla nostra vita. In altre parole, attraverso i disaccordi e le critiche, dovremmo aspirare alla verità, che si apprende navigando nell’intricata rete di stati e punti di vista contraddittori.

Tuttavia, poiché il nostro ego non sopporta le critiche, spesso non le usiamo in modo costruttivo. Possiamo vedere molti esempi di una parte che fa pressione sugli altri finché non cedono e, se continuano a non essere d’accordo, scoppia la guerra. Questo è in gran parte il modo in cui si comporta il nostro mondo. Il nostro ego prevale su molte opportunità di discussione e di crescita.

La critica è costruttiva e positiva quando porta a una discussione reciproca e, infine, a un accordo. Al contrario, quando porta al distacco, fino alla guerra e alla distruzione, allora è ovviamente dannosa e distruttiva.

Vediamo che alla fine delle guerre, in ogni caso, giungiamo alla conclusione che dobbiamo sederci e discutere. La guerra dà un certo tipo di consapevolezza dei mali della nostra natura egoistica, ma non è comunque auspicabile arrivare a tali distruzioni e sofferenze per risolvere finalmente le questioni in modo civile. Abbiamo quindi bisogno di disaccordi e critiche per progredire, e non dovremmo arrivare a guerre e distruzioni per risvegliarci al progresso attraverso le nostre discussioni e i nostri esami.

Se vivessimo in un mondo pieno di bontà e amore, avremmo ancora bisogno di critiche? Certo che sì. Ci sarebbero discussioni e un certo denominatore comune raggiunto a livello di amore reciproco, che farebbe progredire continuamente l’umanità tra un numero enorme di opinioni e contraddizioni. È scritto a proposito di un tale stato che “l’amore coprirà tutte le trasgressioni”.

Contenuti scritti ed editati da studenti, basati sulle loro conversazioni con il Rav dr. M. Laitman.   

Una chiave di svolta nell’espressione della ricerca d’amore

I romanzi d’amore, oggi molto numerosi, hanno iniziato a essere scritti solo circa 300-400 anni fa. Prima di questi testi, gli autori scrivevano principalmente sulla loro ricerca di Dio.

Con la comparsa dei vari tipi di tecnologia, le persone hanno iniziato a viaggiare e comunicare di più, perdendo progressivamente la propria voce interiore. 

Hanno quindi prestato sempre più attenzione alle connessioni tra loro, specialmente tra uomini e donne. Fino a quel momento non esistevano romanzi, novelle o generi in cui il romanticismo fosse un argomento di primo piano. Tutto è iniziato dall’epoca di Shakespeare in avanti. 

I testi Kabalistici non si sono mai addentrati in tali argomenti. Il “Cantico dei Cantici”, ad esempio, tratta di amore, ma è incentrato sull’amore di un uomo per il Bore. Una forma autentica di amore che si estende dall’anima alla sua stessa fonte: la forza superiore di amore, altruismo e connessione che è il Bore.

Contenuti scritti ed editati da studenti, basati sulle loro conversazioni con il Rav dr. M. Laitman.   

Che cosa si intende per unione?

L’unione è una nuova realtà di cui non abbiamo alcuna idea. È una nuova sostanza che dobbiamo ancora percepire e possiede qualità spirituali di amore e dazione. Quando la incorporiamo e viviamo in questa sostanza, iniziamo a scoprire una nuova dimensione dell’esistenza. È come se ci trovassimo su un pianeta diverso. Tuttavia, non si tratta di un cambiamento fisico di posizione, ma della rivelazione di una nuova qualità interiore di amore e dazione che porta a questa unità.

L’unione non significa semplicemente connessione reciproca, buone relazioni o un senso di fiducia che emerge dalla presenza di altre persone. È piuttosto la rivelazione di una nuova qualità che non esiste nel nostro mondo. Quando otteniamo questa qualità, ci allineiamo alle leggi della natura, che sono fondamentalmente leggi di amore, dazione  e connessione. È una rivelazione nella nostra mente e nei nostri sentimenti, della nostra unità con la natura.

Sebbene le persone pensino in generale positivamente all’unità, non viene ancora trattata con un così alto livello di significato. Raggiungere uno stato di unità è lo scopo della vita umana, ed è nelle nostre capacità raggiungerlo. Riguardo al raggiungimento di tale unione, è scritto: “Faremo e ascolteremo”. Cioè, possiamo applicare determinati sforzi per unirci e, facendolo, raggiungere una vera richiesta di unione. E quando raggiungiamo una tale richiesta, chiamata “preghiera”, allora otteniamo il nostro stato unificato superiore.

Potrebbe sembrare improbabile che persone così diverse in molteplici modi possano raggiungere uno stato di unità. Tuttavia, l’unità si manifesta proprio al di sopra delle divisioni, delle differenze, delle opposizioni e delle distanze interiori reciproche. Qualunque cosa emerga nei nostri desideri innati che ci differenzia e divide, possiamo applicare un desiderio comune di unirci al di sopra di tutto, e più ci organizziamo in questa direzione, preoccupandoci di unire al di sopra di tutto ciò che ci separa , più attiriamo le forze spirituali nel nostro mondo che agiscono positivamente su di noi per rendere questa unione una realtà.

Contenuti scritti ed editati da studenti, basati sulle loro conversazioni con il Rav dr. M. Laitman. 

 

Qual è il nostro ruolo nella creazione?

L’essere umano è il centro della creazione ed è il suo scopo. La forza superiore dell’amore e della dazione nella realtà, che i Kabbalisti chiamano “Creatore”, “Bore” o “Natura”, ci ha creato al fine di elevarci al grado più alto possibile: identificarci con la forza superiore.

Il processo di raggiungimento della somiglianza con la forza superiore è chiamato processo di correzione. In questo percorso, acquisiamo le qualità dell’amore e della dazione. Questo processo è anche chiamato “raggiungimento del Bore” ed è lo scopo ultimo della nostra creazione in questo mondo. Perché? È perché siamo stati creati con una natura che desidera unicamente godere e raggiungere il Bore è la forma di piacere più grande e soddisfacente che potremmo mai ottenere. A differenza dei nostri piaceri corporei in questo mondo, come il cibo, il sesso, la famiglia, il denaro, l’onore, il controllo e la conoscenza, che svaniscono tutti, il piacere di raggiungere il Bore è eterno e perfetto. 

Secondo la saggezza della Kabbalah, siamo stati inizialmente creati come un’unica anima chiamata “Adam HaRishon” (in ebraico “Il Primo Uomo”), dopo di che ci siamo frammentati in 600.000 parti. Ogni parte subisce un processo indipendente di correzione. La correzione di ciascuna parte le dà la possibilità di essere riempita dalla forza superiore, o in altre parole, una sensazione del Bore. La sensazione del Bore che ci riempie ci dà accesso a quelli che vengono chiamati “mondi spirituali”.

Pertanto, lo scopo della creazione è che il Bore ci riempia completamente. Al momento, tuttavia, le nostre anime si trovano in uno stato chiamato “questo mondo”, dove non abbiamo alcuna sensazione del Bore. In tale stato, si considera che il Bore sia nascosto da noi. (La parola per “mondo” in ebraico, “Olam“, è collegata alla stessa radice linguistica della parola “nascosto”, “He’elem“.)

Quando l’anima percepisce il contatto con il Bore per la prima volta, si eleva al suo primo grado spirituale. Inizia quindi a somigliare sempre di più al Bore, e facendolo, sente la forza superiore con crescente intensità e sensibilità. Quando tutte le parti dell’anima sono completamente corrette, si elevano a uno stato chiamato “la fine della correzione” (“Gmar Tikkun“).

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Che cos’è più importante, il lavoro o la preghiera?

C’è una parabola che racconta di un pescatore che stava trasportando un passeggero in barca. Il passeggero esortava il pescatore: “Sbrigati, sono in ritardo per il lavoro!”. Allora l’uomo notò che su uno dei suoi remi c’era scritto “prega”, mentre sull’altro c’era scritto “lavora”. Incuriosito, chiese: “A cosa serve?”.

“Per ricordarci”, rispose il pescatore, “di non dimenticare l’importanza della preghiera e del lavoro”.

“È chiaro a tutti che il lavoro è necessario, ma la preghiera sembra inutile. Perché perdere tempo a pregare?”, insistette l’uomo.

“Può sembrare inutile, ma non lo è”, rispose con calma il pescatore. Poi tirò fuori il remo con la parola “prega” e iniziò a remare con un solo remo. Il risultato fu che la barca girava in tondo.

Questa parabola ci mostra che non tutto dipende da noi e che c’è sempre spazio per la preghiera. Allo stesso tempo, se il pescatore avesse tirato fuori il remo con la scritta “lavoro”, anche la barca avrebbe girato al suo posto. Senza lavoro, non c’è progresso. Pregare da soli non basta.

Soprattutto, dovremmo agire in accordo con lo sviluppo della natura e dell’umanità. Avanzare secondo le leggi della natura significa fare tutto ciò che è in nostro potere e lasciare il resto al Bore. In ebraico si dice “HaShem Igmor BeAdi”, cioè “il Creatore finirà per me”. Cioè, noi facciamo tutto quello che possiamo, e il Bore completa il resto per noi.

Questo non significa solo pregare il Bore quando ci troviamo in un vicolo cieco o in una terribile sofferenza. Significa accettare il Bore come la forza della natura che determina ogni cosa e cercare di assomigliare a questa forza.

È un movimento costante: ci sforziamo, ma sappiamo che il Bore finirà il lavoro per noi. Possiamo quindi avanzare correttamente, cioè in modo da avvicinarci al Bore. Avanziamo usando entrambi i remi e pregando che si completino a vicenda.

Contenuti scritti ed editati da studenti, basati sulle loro conversazioni con il Rav dr. M. Laitman. 

 

Chi è spirituale?

Si è spirituali quando si è al di sopra del nostro mondo.

Il “nostro mondo” è il desiderio egoistico che calcola costantemente il proprio tornaconto a spese degli altri e della natura. Se ci proponiamo all’esterno per dare soddisfazione agli altri e alla natura, quando il risultato delle nostre azioni non è legato a chi le compie, anche indirettamente, allora siamo considerati spirituali.

In altre parole, essere spirituali significa raggiungere l’intenzione di donare agli altri e alla natura al di sopra del nostro desiderio innato di trarre piacere solo per noi stessi. Con questo conseguimento, arriviamo a percepire la nostra esistenza eterna e perfetta come un’unica anima, cioè come un grande desiderio che aspira a trarre piacere attraverso l’intenzione di donare alla forza superiore di dazione che crea e sostiene la vita.

Tale esistenza è al di sopra del tempo, dello spazio e del movimento. Non è in alcun modo legata alla sensazione del corpo animato, ma è piuttosto percepita in un nuovo spazio interiore nei nostri sensi, in un’intenzione di donare che sviluppiamo e raggiungiamo.

Contenuti scritti ed editati da studenti, basati sulle loro conversazioni con il Rav dr. M. Laitman. 

Si può definire la spiritualità in una frase? Quali sono gli esempi pratici della sua presenza nella nostra vita quotidiana?

La spiritualità è il raggiungimento della qualità dell’amore e del desiderio di dare al di sopra dei nostri desideri egoistici.

Fino al momento della prima rivelazione, dove attraversiamo le barriere tra il nostro mondo e il mondo spirituale e incontriamo la forza dell’amore e del desiderio di dare,  non abbiamo un esempio di spiritualità.

Dopo questa rivelazione,  la nostra esperienza, ci fa percepire una nuova realtà spirituale, invece di fidarci delle parole di qualcun altro.

Finchè non  raggiungiamo dentro di noi un adeguato desiderio spirituale, chiamato un “Kli” (vaso) spirituale e non entriamo in contatto diretto con la forza spirituale dell’amore e del desiderio di dare, non abbiamo esempi o prove di spiritualità.

Contenuti scritti ed editati da studenti, basati sulle loro conversazioni con il Rav dr. M. Laitman.