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Cosa pensi in merito alla evoluzione dell’umanità e a quanto lontano può arrivare l’umanità?

Il processo di evoluzione  a cui siamo sottoposti è  relazionato alla nostra capacità di adattarci ai mondi superiori, ovvero, per  dirigerci a uno stato di connessione armoniosa “come un solo uomo con un unico cuore”, un’unica umanità che funziona come un unico sistema.

Noi esistiamo in un sistema integrale con una interconnessione e interdipendenza tra le sue parti.

Nel processo, noi abbiamo bisogno di sperimentare che siamo schiavi della nostra natura umana  egoistica, che ci fa desiderare di essere felici a spese degli altri e della natura, fino a raggiungere uno stato di libertà da questa schiavitù nei confronti dell’egoismo.

Qual è  quel luogo di libertà?

È un luogo in cui si scopre l’integralità, una connessione profonda da un capo all’altro della natura, che emerge dal desiderio della forza superiore di amare e di donare.

La forza superiore dell’amore e del dono ci guida e si relaziona con noi come un’unica entità e ci conduce a uno stadio in cui ci concederà una connessione reciproca, in cui ognuno di noi considererà principalmente il beneficio degli altri e dell’intero sistema in cui esistiamo. 

In altre parole, dal vivere  al servizio dei nostri desideri egoistici, in cui   siamo attualmente bloccati, ci sviluppiamo attraverso varie crisi su scala personale, sociale e globale, attraverso le quali otteniamo gradualmente la possibilità di uscire dalla rete egoistica che ci controlla e di entrare in una nuova rete altruistica di connessioni.

Perché abbiamo bisogno di sopportare varie crisi per uscire dal nostro ego?

Perché l’ego umano è molto crudele e noi non siamo in grado di elevarci al di sopra di esso con le nostre forze. Ossia, ci manca la capacità di convincerci che vale la pena essere positivi, gentili e amorevoli con gli altri in tutto il pianeta. Ciò è semplicemente impossibile, posto che la  nostra natura egoistica ci spinge costantemente nella direzione opposta: quella di trarre vantaggio da noi stessi a spese degli altri e della natura.

Perciò, per mostrarci come i nostri atteggiamenti egoistici ci fanno soffrire, la natura ci invia varie crisi che ci obbligano ad affrontare la nostra connessione e la necessità di realizzarla positivamente. Di conseguenza, ci rendiamo conto che non abbiamo altra scelta se non quella di correggere i nostri atteggiamenti reciproci, da egoistici ad altruistici.

Contenuti scritti ed editati da studenti, basati sulle loro conversazioni con il Rav dr. M. Laitman.  

Abbiamo un gene killer dentro di noi?

Ogni persona ha l’inclinazione a uccidere, perché ognuno possiede l’intera gamma dei desideri, dal migliore al peggiore.

Quando uccidiamo gli altri, sia in guerra che in altre situazioni, distruggiamo in realtà una parte di noi, perché noi esistiamo in un desiderio collettivo, un sistema comune.

Ogni cosa che esiste in natura in tutti i suoi livelli, cioè minerale, vegetativo, animale e umano, è dentro di noi . Così, quando uccidiamo qualcosa o qualcuno, uccidiamo la sua parte che si trova in noi.

Ci troviamo così a doverci giustificare per l’uso che facciamo per noi stessi di ogni cosa di questo mondo, iniziando da una boccata d’aria, allargandoci agli alberi che abbattiamo, agli animali che ammazziamo per nutrirci, fino a prenderci la vita degli altri. Questo è un principio che si estende a qualunque cosa che prendiamo per noi stessi. Tutto richiede una certa forma di correzione.

Per qualunque cosa che riceviamo a nostro vantaggio, uccidiamo quella parte di cosmo e dobbiamo assumerci in qualche modo la responsabilità. Ecco perché esistono varie benedizioni che le persone recitano quando compiono tali azioni.

Alcuni sentono inconsciamente una responsabilità verso ogni cosa che prendono dalla natura. Ci sono persone che prima di bere qualcosa, ne mettono po’ in un bicchiere o tagliano un pezzo di cibo e lo mettono a lato. Esistono molte di queste e altre abitudini nel mondo. Ciò indica che queste persone capiscono di prendere dalla natura qualcosa che non renderanno mai. Così facendo, stiamo uccidendo l’universo e allora desideriamo in qualche modo restituire quello che prendiamo.

Altra questione è quando prendiamo dalla natura quello che ci serve per la nostra esistenza, per sostenere la nostra vita. Ma dobbiamo capire che noi siamo quelli che ricevono dalla natura e questo è il motivo per cui abbiamo questa sensazione inconscia di prenderci la responsabilità per quello che riceviamo.

Tra l’altro non importa che non siamo noi i colpevoli per essere stati creati così, non abbiamo avuto scelta. La nostra vita è stata creata così proprio perché dobbiamo capire che viviamo in un mondo dove, se prendiamo qualcosa per noi stessi, dobbiamo pagarlo, per ricambiare. Dobbiamo senza dubbio riconoscere questa responsabilità e sentire che dobbiamo restituire in base a quello che prendiamo.

Su questo principio di assumersi le responsabilità per quello che prendiamo Rabbi Akiva disse che il libro è aperto, la mano scrive e l’individuo prende in prestito, ma poi restituirà tutto. Secondo questo, vediamo che più evolviamo, più prendiamo per noi stessi in modo sproporzionato e questo avrà un effetto boomerang negativo a livello mondiale;  per la nostra ingordigia veniamo colpiti da sofferenze di ogni genere.

È un tema complesso perché la natura è sistema integrale chiuso. Al fine di vivere la nostra vita in modo ottimale in un sistema così, dobbiamo essere molto attenti a quello che prendiamo da esso e che ogni cosa venga usata per riconsegnarla al sistema.

Allora come possiamo raggiungere equilibrio e armonia con la natura?

Possiamo farlo ottenendo la sensazione di unione con la natura, acquisendo una nuova natura che ci renda capaci di dare tanto quanto prendiamo. Allora potremmo regolare quello che prendiamo con quello che diamo.

Siamo in un continuo sviluppo dalla condizione di inconsapevolezza alla condizione di reciproca connessione con la natura, dal prendere qualunque cosa dalla natura senza pensarci, che ci porta ogni tipo di forme estreme di sofferenza, compresi furti e omicidi, a uno stato di totale consapevolezza della nostra reciprocità con la natura, senza il bisogno di restituire in proporzione a quello che abbiamo ricevuto.

Tale stato ci sosterrà in una condizione in cui non prenderemo più dell’essenziale per la nostra vita e, ancor più, ci salverà da molte sofferenze, tra cui il furto e l’omicidio.

 

Contenuti scritti ed editati da studenti, basati sulle loro conversazioni con il Rav dr. M. Laitman. 

Che cosa deve succedere o cambiare perché l’umanità possa evolversi?

La natura dell’uomo è il desiderio di provare piacere a proprio beneficio. È il nostro punto d’inizio, ma siamo in un processo evolutivo che ci porterà ad uno stato in cui finiremo per invertire la nostra natura e cioè quello di agire a beneficio di altri e della natura stessa.

La Natura in senso generico è all’opposto di quella dell’uomo. Essa opera con la legge dell’altruismo, dell’interconnessione e dell’interdipendenza. Di conseguenza, la Natura evolve le sue parti inanimate, vegetative e animate in modo che queste non operino contro di essa. 

In tutta la natura solo noi umani abbiamo il desiderio di sfruttarla e distruggerla allo scopo di provare sensazioni di potere e rispetto. Ci è stato dato questo ulteriore desiderio egoistico per poterci evolvere attraverso la connessione tra noi, per esempio imparare a implementare relazioni favorevoli e benefiche, invece di usare la tendenza a sfruttarci l’un l’altro e sfruttare la natura solo per gonfiare il nostro ego.

Con questa inversione della nostra intenzione, dal beneficiare solo noi stessi al beneficiare gli altri e la natura, scopriremo un nuovo mondo, con una nuova natura, cioè un mondo eterno e perfetto.

Allora vivremo liberi dall’ansia e dal dolore. Le nostre sensazioni di una vita corta, transitoria e miserabile saranno rimpiazzate dalla sensazione di un’esistenza libera dalla sofferenza. 

La sofferenza deriva dal nostro desiderio egoistico di sfruttare gli altri e la natura per il nostro guadagno personale. Perciò, sostituendo la nostra tendenza egoistica con una natura altruistica che desidera beneficiare gli altri e la natura stessa, ci scopriremo a vivere su un piano di esistenza paradisiaco.

Il paradiso è uno stato dove la comune forza dell’amore emerge tra le persone e forma la connessione di “ama il tuo vicino come te stesso”. La Natura prima o poi ci condurrà a questo stato paradisiaco e noi non avremo altra scelta che quella d’invertire la nostra attitudine l’uno verso l’altro, dall’egoismo all’altruismo, e facendo questo vivremo in una connessione di armonia ed equilibrio. 

Contenuti scritti ed editati da studenti, basati sulle loro conversazioni con il Rav dr. M. Laitman.

Come porre fine alla guerra

Nel 1914, durante la Prima Guerra Mondiale, accadde un evento sorprendente. Mentre mezzo milioni uomini venivano uccisi nei pressi della città belga di Ypres, il 24 dicembre, prima di Natale, improvvisamente i soldati iniziarono a decorare le trincee tedesche con ghirlande e luci varie. In seguito, si spostarono in territorio neutrale. Anche Francesi e i Britannici uscirono dalle trincee nemiche per raggiungere il territorio neutrale, radunando circa centomila uomini. Fino a quel momento si erano uccisi a vicenda, ma quel giorno si sono riuniti e connessi: si sono scambiati pensierini, hanno cantato canzoni, hanno barattato bottoni, tabacco, vino e dolci e hanno giocato a calcio con le lattine. Nel 2014 è stato costruito un monumento al calcio per commemorare l’evento.

Fu uno spettacolo incredibile. Coloro che avevano combattuto fino alla morte e si odiavano l’un l’altro iniziarono improvvisamente a legare. Naturalmente i generali si allarmarono immediatamente. Sotto la minaccia di morte, i soldati furono costretti a tornare nelle trincee e la guerra continuò. Durò quattro anni e venti milioni di uomini furono uccisi.

Una domanda chiave che emerge da questo esempio è: è possibile fermare la guerra dal livello dei soldati stessi? Vediamo che i soldati potrebbero porre fine alla guerra se lo volessero, ma dal momento che seguono gli ordini dei loro generali, allora sarebbe necessario che anche i generali volessero fermare la guerra, cosa che a sua volta richiede ogni successivo livello superiore, il che lo rende impossibile.

Tuttavia, l’esempio è impresso nella storia: persone che si uccidevano a sangue freddo, con le baionette, combattendo corpo a corpo, spargendo tanto sangue e non solo sparando a distanza con pistole e missili. Queste persone hanno letteralmente affrontato i loro nemici, hanno provato odio per loro e, in un solo momento, tutto si è trasformato in uno stato di unione.

Questo mostra che anche l’odio più forte può essere invertito in un attimo. Una lotta può continuare a lungo, e poi all’improvviso, puff: l’odio si dissipa. Il motivo alla base dell’odio scompare improvvisamente.

Non è un miracolo. È semplicemente il modo in cui si svolge il programma che gestisce i nostri desideri. Non ha senso il nostro odio, né il nostro amore. Possiamo vedere esempi simili di persone che un tempo erano apparentemente innamorate e che, all’improvviso, smettono di amarsi. L’amore che li teneva uniti scompare all’istante. È comune sentire i divorziati dire dei loro partner: “Che cosa ho mai amato in lui/lei?”.

Il fatto che le nostre emozioni possano cambiare improvvisamente da un momento all’altro ci dimostra che qualsiasi unità che stabiliamo non dovrebbe basarsi sui nostri sentimenti, ma su un’idea. Cioè, se facessimo circolare l’idea della necessità di unirci per raggiungere una fusione completa tra di noi come lo stato più desiderabile che possiamo raggiungere, allora avremmo una forte base per unirci.

Il fondamento di questa idea risiede in una radice superiore, ovvero che l’umanità è stata originariamente creata come un’unica coscienza unificata che ha subito un processo di frammentazione e di dispersione fino a ritrovarsi in una realtà in cui ci percepiamo separati gli uni dagli altri. Mentre siamo in questo stato di separazione, subiamo una certa evoluzione fino a raggiungere un punto in cui iniziamo a risvegliarci di nuovo al nostro stato unificato. Cioè, a un certo punto, cominciamo a sentire che siamo all’opposto del nostro stato più desiderabile, che abbiamo sofferto abbastanza nella nostra divisività, e sviluppiamo un nuovo desiderio di subire un cambiamento importante per tornare alla completa unificazione.

Contenuti scritti ed editati da studenti, basati sulle loro conversazioni con il Rav dr. M. Laitman.

Quando la popolazione umana supererà la capacità del Pianeta Terra?

Oggi è molto diffusa l’idea che la sovrappopolazione umana sia un problema: che aumenti il riscaldamento globale,  i cambiamenti climatici e le malattie, per citarne alcuni.  

Tuttavia, in realtà, maggiore è la popolazione umana, minore è la sofferenza che ognuno di noi sopporta individualmente.

Inoltre, non percepiremmo la sovrappopolazione come un problema se migliorassimo i nostri atteggiamenti reciproci,  collegandoci positivamente gli uni agli altri, al di sopra delle nostre pulsioni egocentriche e individualistiche.

In primo luogo, in relazione all’affermazione: “più popolazione c’è sul pianeta, meno sofferenza assorbiamo”… Dobbiamo innanzitutto capire che nel mondo non esiste il concetto di persone in eccesso.

Non solo il nostro pianeta può far fronte a  molte più persone, inoltre una popolazione umana più elevata non equivale a una maggiore sofferenza. Invece, se vista dalla  prospettiva dello sviluppo dell’umanità verso il suo stato futuro unito, la formula appare così:

La quantità di popolazione divisa per la quantità di sofferenza, eguaglia la nostra capacità di esercitare la libera scelta, per connetterci al di sopra dell’ego.

In altre parole, se ci sono più persone, allora il totale della sofferenza si suddivide tra loro, e come risultato, tutti soffrono meno. Per esempio, diciamo che l’umanità ha bisogno di sopportare un milione di tonnellate di sofferenza ad un certo livello del suo sviluppo. Allora che cosa preferireste: essere parte di un’umanità di otto miliardi di persone che deve affrontare quel milione di tonnellate di sofferenza, o far parte di un’umanità di due miliardi di persone che si assume questo fardello?  È chiaro che sceglieremo l’opzione della minore sofferenza. 

Come funziona questo? Per comprenderlo, abbiamo bisogno di una visione a volo di uccello sullo sviluppo dell’umanità.

Attualmente ci troviamo in un processo che ci porta  ad un futuro dove l’umanità sarà connessa come un unico organismo, in cui ci sentiremo più vicini gli uni agli altri di quanto lo siano le nostre famiglie.  

Oggi siamo ad un bivio: possiamo continuare a seguire la strada della nostra crescente natura egoistica, nella quale cerchiamo di realizzarci in un contesto di problemi personali, sociali e globali, che si intensificano progressivamente; o possiamo esercitare la nostra libera scelta ed impegnarci in questo processo in modo positivo, connettendoci al di sopra della nostra natura egoistica e superando i problemi. 

Se ci rendiamo conto della nostra libera scelta in questo processo, e iniziamo a connetterci sopra l’ego, allora  nessuna singola persona sul pianeta sarà in eccesso. 

Al contrario, ogni persona sarà considerata come una creazione molto preziosa, inseparabile dalla società, che porta una parte significativa del carico dell’umanità. Ogni persona sarebbe importante come le cellule e gli organi del nostro corpo, ognuno dei quali  lavora per il bene dell’intero organismo, prendendosi cura l’uno dell’altro nel processo. 

Non ci sono quindi persone superflue. Ciò che è superfluo è tutto il pensiero volto a limitare la crescita della popolazione. Invece di pensare a limitare la popolazione, dovremmo pensare a come possiamo guidare la nostra popolazione in rapida crescita verso una società connessa positivamente.  

Così facendo, ci renderemo conto della nostra capacità di esercitare la nostra libera scelta e di scoprire una nuova immagine della realtà superando ciò che percepiamo abitualmente nell’ego.

Contenuti scritti ed editati da studenti, basati sulle loro conversazioni con il Rav dr. M. Laitman.

Cosa pensate del Dolore?

Il dolore è la reazione del corpo ad ogni genere di disturbo corporeo. Ci avverte del pericolo e ci fa agire, per andare verso il piacere e allontanarci dal dolore, ci fa diagnosticare la causa del dolore, per  giungere a delle conclusioni e avanzare nella nostra vita verso nuovi stati.

Il dolore colpisce il nostro ego, il desiderio di trarre piacere a spese degli altri.  Possiamo provare dolore quando stiamo male, o quando entriamo in sintonia con qualcuno che sta male, o quando il dolore dell’invidia ci colpisce, quando vediamo che gli altri stanno meglio di noi. 

C’è un dolore che ci spinge da dietro, facendoci evolvere, e anche un dolore esistenziale che alla fine ci spinge in avanti verso una maggiore realizzazione.

Non proveremmo assolutamente nulla se non  fosse per il dolore. Che si tratti di un certo tipo di conflitto, di contatto o di pressione, ogni nostro sentire è costruito su una certa forma di dolore, e noi possiamo provare piacere, appagamento e gioia, solo dopo il dolore. 

Tuttavia possiamo superare il dolore. Quando ci innalziamo al di sopra dell’ego, cioè, quando superiamo la priorità dell’interesse personale a scapito degli altri, e passiamo al suo opposto, dando priorità al beneficio degli altri, solo allora possiamo vivere in un completo appagamento, senza vuoto, dove ci relazioniamo a tutto e a tutti con una sempre crescente integrità e amore. 

Contenuti scritti ed editati da studenti, basati sulle loro conversazioni con il Rav dr. M. Laitman.

Come possono gli uomini evitare di vergognarsi di se stessi?

Noi ci adattiamo costantemente a vari codici di comportamento per evitare di vergognarci.

Oltre a occuparci dell’essenziale della vita, ossia di avere cibo, un riparo, una buona igiene e di poterci dedicare alla famiglia, tutto il resto delle nostre azioni è motivato dal bisogno di evitare la vergogna.

La ragione di questa nostra necessità di evitare la vergogna deriva dalla base stessa della nostra esistenza, nel processo di formazione della nostra realtà.

La saggezza della Kabbalah, che spiega il processo di creazione ed evoluzione della nostra realtà, descrive che il Bore (la volontà di dare) creò la creazione (il desiderio di ricevere) e la riempì con la  luce (piacere, appagamento, godimento). Dopo aver provato il piacere della luce, la creazione si è resa conto che dietro il piacere provato c’era una qualità più grande: un datore del piacere. Il fatto di sentire che c’era un datore del piacere e c’era un ricevente del piacere ha fatto sì che la creazione provasse vergogna. In altre parole, la vergogna è la prima reazione della creazione quando sente il suo Creatore ed è quindi ciò che dobbiamo integrare per raggiungere la somiglianza con il Bore.

Ecco perché nel nostro mondo, che è emerso da questa interazione di dare-ricevere tra il Bore e la creazione, la sensazione della vergogna è alla base del modo in cui pensiamo e agiamo nella società.

Contenuti scritti ed editati da studenti, basati sulle loro conversazioni con il Rav dr. M. Laitman. 

 

Quale domanda dovremmo farci tutti noi oggi?

L’umanità deve riconoscere che ha sviluppato una società corrotta con ostilità e scontri nelle sue connessioni.

Oggi, dobbiamo fare una autoanalisi e farci domande serie su come e perché viviamo: Per che cosa viviamo? Qual è il senso della vita? Qual è il suo scopo? Che senso ha vivere? Si tratta  semplicemente di sopravvivere nei pochi anni che abbiamo a disposizione, o c’è qualcosa di più grande in cui vale la pena di investire?

Nei nostri primi 20 o 25 anni, cresciamo in ambienti di apprendimento. Poi lavoriamo abbastanza duramente per la parte successiva della nostra vita, e infine, all’età di 60 o 70 anni, iniziamo ad avvicinarci alla fine della vita.  

Nei nostri anni di lavoro, abbiamo dei figli che dobbiamo crescere e ai quali dobbiamo mostrare la strada della vita. Che cosa acquisiscono da questa società che noi abbiamo costruito?

È come se ci fossimo messi in acque turbolente e poi cercassimo di tenerci a galla in qualche modo per non affogare.

Infine, tuttavia, gli attriti e le difficoltà della vita ci conducono tutti  alle domande fondamentali sul significato e lo scopo della nostra vita e la sofferenza aumenterà finché non ci sottoporremo a un serio esame di noi stessi. 

Contenuti scritti ed editati da studenti, basati sulle loro conversazioni con il Rav dr. M. Laitman.

La sofferenza è una punizione di Dio?

La punizione da parte di Dio è una delle tante teorie che sono state elaborate per spiegare perché soffriamo, cioè che Dio ci punisce per certe azioni che abbiamo (o non abbiamo) compiuto nella nostra vita attuale o in quelle passate. Tuttavia, a prescindere dalle teorie, nessuno sa davvero perché soffriamo.

Soprattutto nell’epoca attuale, possiamo vedere che siamo interdipendenti e interconnessi a livello globale. Più ci evolviamo, più la nostra interdipendenza globale ci viene rivelata.

Viviamo in un unico sistema globale e ognuno di noi condivide una responsabilità reciproca per il benessere dell’intero sistema.

In modo analogo a come funziona il nostro corpo, sentiamo una ferita nel mignolo del piede come un dolore in tutto il corpo e, se si tratta di una ferita importante, richiede la nostra completa attenzione. È così che ci riveliamo sempre più spesso nel mondo di oggi.

Se comprendessimo e sentissimo tutta la portata della nostra interdipendenza, allora arriveremmo subito alla conclusione che dobbiamo sistemare i nostri legami: migliorare i nostri atteggiamenti reciproci come se fossimo membri di un’unica famiglia, anche più vicini. Se lo faremo, allora inizieremo a percepire che viviamo in un mondo assolutamente perfetto, privo di sofferenza.

Contenuti scritti ed editati da studenti, basati sulle loro conversazioni con il Rav dr. M. Laitman. 

Cos’è più importante: la compassione o l’empatia?

Con l’empatia possiamo sentire il dolore altrui e con la compassione lo sentiamo, ma siamo in grado di gestirlo. Questo perché la compassione viene dall’amore, che è la differenza principale tra le due. 

Secondo il dizionario Merriam-Webster, l’empatia è “l’azione di comprendere, essere consapevole, sensibile e sperimentare indirettamente emozioni,  sensazioni e pensieri, passati o presenti, dell’altro senza che questi siano stati comunicati in modo oggettivamente esplicito” e la compassione significa “la consapevolezza partecipe che comprende l’angoscia altrui insieme al desiderio di alleviarla”.

Con la compassione è come se entrassimo nel mondo dell’altro e sentissimo ciò che prova. Coltivando e nutrendo questa sensazione dentro di noi, potremmo entrare completamente in un altro mondo. Comunque non veniamo coinvolti in questo processo. In genere all’età di tredici o quattordici anni siamo in grado di risuonare con la sofferenza altrui. Se venissimo poi educati a come relazionarci con tali emozioni, allora potremmo portare un enorme cambiamento in meglio nel mondo.

Possiamo insegnare la compassione in modo che le persone imparino a comprenderla e a coltivarla sempre di più. Aumentando la compassione nella società, saremo in grado di condividere la sofferenza altrui, accettandola in parte su di noi e così raggiungere una condizione in cui la neutralizziamo.

Inoltre, non ci esauriremmo per aver apparentemente preso troppa sofferenza su di noi. Al contrario, la nostra maggiore compassione e simpatia neutralizzerebbe la sofferenza, suddividendola in porzioni più piccole e portando così sollievo agli altri.

La compassione condivisa con tutti porterebbe il mondo in uno stato di beatitudine globale, che è esattamente quello che abbiamo bisogno di raggiungere. Se falliamo nell’accrescere compassione nella società, ci aspetteranno problemi sempre più grandi in futuro. Questo perché l’ego continua a crescere mentre la natura ci forza a diventare sempre più interdipendenti. In altre parole, senza unire e senza condividere le nostre sofferenze, non saremo capaci di tollerare la crescente connessione tra noi, ossia sentiremo una pressione sempre maggiore sull’ego fino a quando diventerà insopportabile.

Secondo la saggezza della Kabbalah, la compassione ha una definizione più ampia rispetto a quella del Merriam-Webster. Suddivide la grande sofferenza che esiste nella realtà. La realtà consiste in un unico enorme desiderio di ricevere, che fu creato, del quale siamo tutti parte, e in una grande luce, che è la forza dell’amore, della connessione e della dazione, che ha bisogno di riempire il desiderio completamente.

Più prepariamo un approccio compassionevole verso questo desiderio, ad esempio con un’intenzione che non sia egocentrica ma mirata all’amare, a dare e a connettersi positivamente agli altri, allora più permetteremo alla luce, quella forza positiva di amore, dazione e connessione, di penetrare il desiderio alleviando le nostre sofferenze, portando pace e armonia. In altre parole, il grande desiderio di ricevere su cui si basa la nostra realtà può essere totalmente soddisfatto solo se le nostre intenzioni puntano al beneficio altrui.

Perciò imparando come diventare compassionevoli, possiamo accelerare il tempo necessario a raggiungere l’equilibrio tra noi e con la natura. Divideremmo allora la differenza tra l’appagamento assoluto e il vuoto tra ognuno di noi e saremmo in rotta verso uno stato di beatitudine: sentire una contraddizione, un’impossibilità e un grido interiore che si trasformano in un nuovo tipo di piacere e gioia superiore. In una condizione del genere, non c’è differenza tra dolore e piacere perché si uniscono come fossero uno. In altre parole, in un livello più elevato di realtà dove siamo più connessi correttamente, il dolore diventa piacere, perché li compensiamo.

La sofferenza ci viene data al fine di invertirla in piacere. Più grande è il dolore, di conseguenza, più grande è il piacere. Quando sapremo bilanciare questi opposti, arriveremo in un assoluto nuovo tipo di piacere e sensazione della realtà.