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Come posso vivere senza rimpianti?

C’è una canzone che dice: “Il diritto di dimenticare gli anni, il diritto di scegliere le ore. Il diritto di scegliere come vivere, gettando la vita sulla bilancia” (Evgeny Klyachkin, “La canzone sui diritti”).

Abbiamo la capacità di tagliare via semplicemente qualsiasi rimpianto del passato. Se viviamo con un atteggiamento verso la vita che consiste nel fare e dare tutto ciò che possiamo in ogni momento, allora è possibile vivere senza rimpianti.

Dando al mondo, spero di poterlo in qualche modo migliorare. Non posso rimanere indifferente al mondo e alle persone. Vorrei piuttosto che aprissero gli occhi per vedere il quadro generale della situazione.

Contenuti scritti ed editati da studenti, basati sulle loro conversazioni con il Rav dr. M. Laitman.  

 

Perché, come esseri umani civilizzati e avanzati, non possiamo ancora controllare/modificare i nostri istinti primitivi?

C’è un aneddoto che fa riflettere sullo sviluppo della civiltà umana. Un sopravvissuto a un incidente aereo atterra su un’isola abitata da cannibali. Questi ultimi, guidati da un intelligente capo dall’aspetto europeo, intendono banchettare con il sopravvissuto. Il sopravvissuto, sconcertato dall’apparente cultura del capo, chiede: “Non siete influenzati dalla civiltà?”. Il capo risponde: “Certo, subisco tale influenza. Quando ti mangerò, lo farò con classe, usando un piatto, una forchetta e dei condimenti. Sarà una cosa molto sofisticata”. 

Questa storia ci fa riflettere sul perché la civiltà non sia riuscita a fermare guerre e orrori.

La civiltà ha bisogno di un lavoro interiore. Ossia, per cambiare in meglio la civiltà umana è necessario partire dal cambiamento della persona dall’interno. In realtà, non ci sono orrori. I cosiddetti orrori a cui assistiamo sono solo persone che mostrano la loro intrinseca natura umana egoistica, che è il godimento a spese degli altri. È questa natura che deve essere riparata. Da qualsiasi parte si guardi, a livello personale, sociale, internazionale e globale, l’egoismo umano è fuori equilibrio.

Se alle persone fosse concessa la libertà di farsi del male a vicenda, senza essere punite e senza conseguenze negative per le loro azioni, allora assisteremmo a un’immensa barbarie. Inoltre, insieme a questa barbarie, vedremmo anche persone che usano piatti, forchette, coltelli e cucchiai quando mangiano, semplicemente per abitudine.

Oltre alle guerre e alle barbarie, vediamo la nostra natura umana egoistica riprodursi in molte delle cose che consideriamo normali e apprezzate nella nostra vita. Per esempio, prendiamo uno stadio sportivo gremito di decine di migliaia di persone, alcune delle quali tifano per una squadra e altre per un’altra. Questo dimostra come siamo fondamentalmente l’uno contro l’altro.

La nostra disponibilità a tifare per una parte e contemporaneamente a divorare l’altra è il punto dentro di noi che deve essere cambiato. Personalmente, metterei fine a questi eventi, cioè a qualsiasi tipo di competizione che favorisca l’odio e la superiorità.

Non sono contrario alla competizione in generale, ma solo a quella che alimenta l’odio. Dobbiamo unire le nostre teste per creare eventi competitivi che non enfatizzano chi è più grande, migliore, più veloce e più forte, ma che ci permettono di cercare il successo dell’unità al di sopra della nostra natura egoistica e divisiva.

Se ci poniamo in competizione con la nostra natura egoistica per elevare l’unità al di sopra di essa, alla fine scopriamo che non abbiamo bisogno di confini tra i Paesi o di altre forme di segregazione delle persone. Tuttavia, prima, all’interno di questi confini, dobbiamo subire questa correzione: competere per elevarci al di sopra della nostra natura egoistica, dell’odio verso gli altri, e creare un’atmosfera di amore, considerazione reciproca e connessione positiva al di sopra dell’egoismo.

Alla fine, ci accorgeremo di essere un’unica nazione diffusa in tutto il mondo. La differenza tra il modo in cui questo concetto si svolge qui rispetto ad altri che hanno cercato di attuare una simile visione, consiste nel loro errore di cercare di costruire una trasformazione collettiva senza cambiare la natura umana egoistica che risiede in ogni persona. Hanno ignorato il male insito in noi. Prima di qualsiasi trasformazione collettiva, abbiamo bisogno di un cambiamento all’interno di noi stessi.

Oggi abbiamo raggiunto una fase in cui possiamo imparare da questi errori del passato che l’uso della forza per costruire società non porta a nulla di positivo. Tuttavia, dobbiamo ancora costruire una vera civiltà umana.

Civiltà significa rendersi conto dell’importanza di forti legami positivi al di sopra della nostra innata natura egoistica. Questo è il nocciolo della questione. Quando diamo priorità a questi legami, ci allineiamo alle leggi naturali dell’interconnessione e dell’interdipendenza e percepiamo un nuovo mondo armonioso e pacifico che si apre a noi.

Contenuti scritti ed editati da studenti, basati sulle loro conversazioni con il Rav dr. M. Laitman.   

 

La vita è una prova?

Nella Torah è scritto che ognuno di noi attraversa delle prove nella propria vita, attraverso le quali la Provvidenza superiore ci esamina. In effetti, la nostra vita è una prova.

È più evidente nella storia dell’esodo dall’Egitto. L’ “Egitto” rappresenta i nostri desideri egoistici, e più ci prepariamo a uscire dal nostro ego, più iniziamo a sentire il nostro ego che lavora su di noi, ci controlla e ci supera, e anche noi cerchiamo costantemente di superarlo.

La crescente difficoltà nel superare l’ego si chiama “l`appesantimento del cuore”, che ci porta a sentire che siamo interamente sotto il dominio dell’ego, sotto il Faraone, e lo sentiamo come nostro nemico.

Perché sentiamo l’ego che abita dentro di noi come un nemico? È a causa di un piccolo punto di un desiderio in noi chiamato “Mosè”. Esso ci attrae verso l’altro lato del nostro ego: una realtà di connessione positiva tra gli altri con atteggiamenti di amore e dazione fra di noi.

In questo gioco con la forza superiore di amore e dazione chiamata “il Bore”, così come con il Faraone, Mosè, il popolo d’Israele (ossia coloro che condividono il punto comune del desiderio di elevarsi al di sopra dell’ego) e gli Egiziani, iniziamo a scoprire queste forze che operano dentro di noi. Cominciamo a vedere come siamo persi sotto il dominio del Faraone senza la forza superiore di amore e dazione (il Bore) che ci tira fuori.

Se attraversiamo la vita sapendo che è il nostro Egitto e che dobbiamo elevarci a un livello superiore e non rimanere nell’ego, dove il nostro Faraone interiore e gli Egiziani vogliono trattenerci, impareremo a usare la nostra vita in modo da portarci tutti a uno stato di totale armonia, pace e felicità. Arriviamo quindi a vedere la vita come il nostro obiettivo per sfuggire alla nostra natura egoistica e dirigerci verso quella che viene chiamata “redenzione”, che è la sensazione del mondo superiore, dell’eternità e della perfezione.

La nostra vita è quindi una prova e un’opportunità. Se cerchiamo costantemente di vedere dove e come veniamo manovrati e cerchiamo di mantenere il pensiero che al di là dei nostri desideri egoistici c’è una forza superiore di amore e di dazione che desidera che diventiamo esseri maturi elevandoci al di sopra del nostro ego, allora possiamo vedere la nostra vita come un test, come un test su noi stessi.

Possiamo quindi esercitare cosa significa vivere al di sopra dell’ego in una realtà in cui la forza superiore dell’amore e del dare riempie le connessioni tra di noi. Così facendo, attiriamo quelle forze d’amore e di dazione nella nostra vita e, di conseguenza, ci eleviamo ad una vita spirituale eterna e completa. Se non ci sottoponiamo a questa prova e continuiamo a lasciare che i nostri desideri egoistici determinino ogni nostro pensiero e movimento, allora scompariamo semplicemente quando moriamo, e non ci resta che attendere la prossima occasione nel ciclo di vita successivo.

Contenuti scritti ed editati da studenti, basati sulle loro conversazioni con il Rav dr. M. Laitman. 

Cosa significa “la resurrezione dei morti”?

Secondo la saggezza della Kabbalah, la “resurrezione dei morti” si riferisce alle nostre  qualità interiori, non alle persone decedute.

Un corpo è un desiderio e un “corpo morto” significa  un desiderio che non vuole fare nulla per seguire la direzione spirituale di amore, dazione e connessione. Desidera rimanere soddisfatto semplicemente così com’è, come un desiderio egoistico. Un desiderio di questo tipo è considerato “morto”.

Nel percorso spirituale mettiamo molto impegno per eliminare i nostri desideri egoistici, in modo da raggiungere  lo stato in cui non desideriamo più godere solo del nostro vantaggio personale, ottenuto a spese degli altri e della natura. In uno stadio più avanzato del nostro percorso, vogliamo però  ridare vita a questi desideri perché possono essere utilizzati in modo diverso, cioè per il bene della dazione. Questo viene chiamato “la resurrezione dei morti”.

Prendiamo contatto con le nostre qualità egoistiche morte e lavoriamo per correggerle in direzione della dazione. 

Occorre quindi che ci impegniamo per  riportare in vita i “corpi morti” aiutandoci reciprocamente a far  risorgere i desideri morti e a elevarli al di sopra di noi stessi.

Contenuti scritti ed editati da studenti, basati sulle loro conversazioni con il Rav dr. M. Laitman. 

Tutti hanno pensieri negativi?

Tutto ciò che si risveglia in noi proviene dalla forza superiore di dazione e amore in natura che crea e sostiene la realtà, che nella Kabbalah è chiamata “il Bore”.

Tuttavia, riceviamo i risvegli nel nostro ego e questi si rivelano come la forma opposta di ciò che è stato inviato dalla forza superiore.

Come funziona? La forza superiore è altruismo assoluto, che ci dona costantemente piacere e delizia, ma noi riceviamo questa influenza in desideri egoistici frammentati che desiderano godere solo per il proprio beneficio.

I desideri egoistici ricevono tutto ciò che proviene dalla forza superiore perfetta, mettendo in atto quell’influenza in modo opposto e negativo.

Ecco perché, purtroppo, tutti noi abbiamo cattivi pensieri e cattivi desideri, e continueremo ad averli finché non ci correggeremo.

Cosa significa “correggersi”? Significa che invertiamo l’intenzione dei nostri desideri, in modo che, invece di desiderare di godere solo per il proprio beneficio a spese degli altri e della natura, desideriamo fare del bene agli altri e alla natura al di sopra del nostro personale tornaconto egoistico.

Quando ci correggiamo, arriviamo a sentirci come se esistessimo in un unico insieme con tutti e tutto in natura, e saremmo quindi felici di servire e agire a beneficio di quel tutto come se fosse il nostro grande io.

Contenuti scritti ed editati da studenti, basati sulle loro conversazioni con il Rav dr. M. Laitman.  

L’introspezione ha qualche utilità?

Se ci sottoponiamo a un’introspezione che mira a migliorare il nostro legame con gli altri in modo integrale, allora l’introspezione è molto utile. 

Per esempio, se pensiamo a noi stessi: “Quando saremo in grado di prenderci cura di tutte le persone del mondo come ci prendiamo cura della nostra famiglia unita?”, allora tale introspezione ci avvicina all’equilibrio con le leggi integrali della natura. 

Ciò non significa pensare che tutti abbiano la stessa quantità di denaro e di beni. Non possiamo fare in modo che ogni persona abbia, ad esempio, mille dollari e non ci sia più nulla da esaminare. Dobbiamo invece tenere conto delle richieste, dei bisogni e degli stati di ciascuno.

Dobbiamo occuparci del mondo intero in modo simile a come una famiglia ben funzionante che discute su come allocare le proprie risorse a ciascuno dei suoi membri in base alle rispettive richieste, necessità e stati. Se ci prendiamo cura dell’umanità in questo modo, allora non c’è spazio per tutti i tipi di crisi e disastri che riceviamo dalla natura per svegliarci alla nostra connessione globale-integrale.

Può sembrare un approccio socio-economico fuori dalla portata di una persona comune. Ossia, come puo’ una singola persona influenzare il modo in cui ogni singolo individuo riceve un budget e le forniture per la propria vita? Ma è molto di più: si tratta di una forma integrale di introspezione che deve essere condotta costantemente all’interno del sistema generale in cui viviamo.

Siamo tutti membri dell’umanità e l’umanità deve costantemente riflettere su se stessa, come facciamo nelle nostre famiglie. Se estendiamo la cura continua che abbiamo per le richieste, i bisogni e gli stati delle nostre famiglie al livello dell’umanità nel suo complesso, allora inizieremo a scoprire la nostra connessione molto più profonda “come un solo uomo con un solo cuore”, ossia come un sistema integrale comune. Inoltre, attraverso questa continua introspezione che accresce la nostra attenzione per l’umanità, attireremo nelle nostre connessioni la forza positiva che risiede nella natura, una forza che ha il potere di condurre le nostre vite in uno stato di completa armonia, equilibrio e pace.

I nostri cuori, ossia i nostri desideri, sono attualmente molto piccoli. Nasciamo con desideri egoistici e cresciamo pensando che il nostro modo egoistico di godere per il nostro beneficio personale a spese degli altri  sia tutto ciò che abbiamo nella vita.

Ma c’è un modo per espandere i nostri cuori, cioè i nostri desideri, per includere tutti all’interno.

Per il momento, sentiamo per lo più solo i nostri bisogni e quelli dei nostri familiari, e non riusciamo a relazionarci con i bisogni degli altri come facciamo con i nostri. Ma se creiamo dei sistemi di supporto per condurre un’introspezione su come aumentare la cura in tutta la società umana, che ci porterà a una connessione armoniosa, allora ci avvicineremo a una forma di connessione molto più completa, in equilibrio con le leggi integrali della natura.

Allora sperimenteremo la natura come amichevole e calorosa, perché entreremo in un certo livello di congruenza con essa, come un unico sistema interconnesso, interdipendente e integrale.

Contenuti scritti ed editati da studenti, basati sulle loro conversazioni con il Rav dr. M. Laitman. 

Si può definire la spiritualità in una frase? Quali sono gli esempi pratici della sua presenza nella nostra vita quotidiana?

La spiritualità è il raggiungimento della qualità dell’amore e del desiderio di dare al di sopra dei nostri desideri egoistici.

Fino al momento della prima rivelazione, dove attraversiamo le barriere tra il nostro mondo e il mondo spirituale e incontriamo la forza dell’amore e del desiderio di dare,  non abbiamo un esempio di spiritualità.

Dopo questa rivelazione,  la nostra esperienza, ci fa percepire una nuova realtà spirituale, invece di fidarci delle parole di qualcun altro.

Finchè non  raggiungiamo dentro di noi un adeguato desiderio spirituale, chiamato un “Kli” (vaso) spirituale e non entriamo in contatto diretto con la forza spirituale dell’amore e del desiderio di dare, non abbiamo esempi o prove di spiritualità.

Contenuti scritti ed editati da studenti, basati sulle loro conversazioni con il Rav dr. M. Laitman.  

Perché è importante Rosh Hashanah?

Prima di parlare dell’importanza di Rosh Hashanah, il capodanno ebraico, è importante capire che le festività ebraiche non sono la tradizione di una particolare nazione o popolo. Sono piuttosto simboli di stati spirituali unici in cui raggiungiamo una qualità comune di amore e di dazione in livelli più elevati della nostra connessione tra di noi e con la natura.

Se raggiungiamo un certo livello di unità che è latente nella natura, allora celebriamo questo evento. Quando ci innalziamo un po’ di più al livello successivo di connessione tra di noi e con la natura, allora raggiungiamo di nuovo un nuovo grado di percezione e sensazione unificata della natura e celebriamo tale evento.

Le nostre decisioni non hanno alcun ruolo nel determinare le festività. Celebriamo invece il raggiungimento di certi livelli di equivalenza di forma che sono onnipresenti in natura. Non possiamo quindi cambiare queste festività.

La natura è una rete interconnessa e interdipendente di forze altruistiche. È un sistema unificato in cui ogni sua parte è completamente interconnessa. Noi esseri umani, invece, siamo le uniche parti della natura che vi si oppongono e vi resistono con il nostro desiderio egoistico di trarre beneficio per noi stessi a spese degli altri e della natura.

Se noi, l’umanità o almeno una massa critica all’interno dell’umanità, inizieremo a subire un processo di cambiamento della nostra qualità egoistica in una qualità altruistica simile a quella della natura, allora ci avvicineremo alla forma unificata della natura.

Un passo fondamentale in questo processo si chiama “riconoscimento del male”. Ciò significa che dobbiamo prima riconoscere la nostra natura egoistica innata che ci impedisce di sperimentare l’interezza che esiste in natura. Per cambiare la nostra natura egoistica in una natura altruistica, simile alla forza d’amore e di dazione della natura, è necessario un profondo esame interiore, che si chiama “preghiera”. In ebraico, pregare (“Lehitpalel“) significa “incriminare” (“Lehapil“) se stessi. Cioè, dobbiamo incriminare noi stessi, e tale confessione che precede Rosh Hashanah è chiamata “il mese di Elul”.

Durante questa analisi, vediamo il nostro attuale basso stato egoistico in confronto allo stato altruistico, esaltato e completo di amore, dazione e connessione, che desideriamo raggiungere. L’immenso abisso tra questi due stati dà origine a una preghiera, in cui ci giudichiamo ed esprimiamo un grande desiderio di cambiare la nostra intenzione egoistica in una altruistica, simile a quella della natura.

Scopriamo come la nostra natura egoistica ci trasformi in criminali insieme alla scoperta di una forza superiore e molto più grande dei nostri poteri egoistici, la forza altruistica della natura, verso la quale desideriamo avanzare.

Questo stato è chiamato “Rosh Hashanah”, l’inizio (“Rosh“) del nostro cambiamento (“Shinui“). È l’inizio di un nuovo ciclo di stati attraverso i quali progrediamo per diventare sempre più simili alla forza amorevole e generosa della natura.

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Quali sono gli equivalenti moderni dell’Egitto, del Faraone e di Mosè descritti nella storia della Pasqua ebraica?

C’è una crescente consapevolezza che non possiamo più vivere la nostra vita nel modo in cui lo facciamo, cioè che la nostra cultura consumistica di sovrapproduzione e consumo eccessivo sta distruggendo il nostro pianeta, derubandolo delle sue risorse e che alla fine ci porta alla distruzione. Sempre più persone non vedono il motivo di portare più bambini in un mondo in cui finiscono per soffrire per gran parte della loro vita.

Oggi è diventata una cosa normale lavorare dalle dieci alle dodici ore al giorno e sopportare lunghi ingorghi prima e dopo il lavoro. Sembra sciocco e persino irreale, come se fossimo stati inseriti in un gioco e non sapessimo cosa stiamo facendo, che qualcuno da qualche parte stia premendo un controller che ci muove.

È così che il nostro ego gioca con noi. Il nostro desiderio innato è quello di desiderare di godere solo per il beneficio personale, e ci fa immaginare tutti i tipi di piaceri che possiamo ricevere correndo la corsa al successo che tanti di noi fanno. Tuttavia, poiché ogni piacere che riceviamo svanisce, continuiamo a sentirci vuoti e desiderosi, e non raggiungiamo mai alcun tipo di completo appagamento. Al contrario, più andiamo di qua e di là cercando di riempire noi stessi, più finiamo per sentirci peggio.

Sarebbe quindi saggio fermarci un attimo e riflettere attentamente su ciò che stiamo facendo della nostra vita.

Nella storia della Pasqua ebraica, il Faraone è il re d’Egitto che cerca di tenere in schiavitù il popolo d’Israele. Nel XXI secolo, il Faraone è questa forza molto egoistica che governa su di noi, che ci fa considerare come possiamo vivere la nostra vita separati gli uni dagli altri, solo per il beneficio personale, e che ci trattiene da una connessione umana positiva e dalla scoperta di una vera vita armoniosa, pacifica e con uno scopo.

Il Faraone descrive questa forza egoistica in noi che ci obbliga a provare a divertirci, ma che alla fine ci porta a distruggere le nostre stesse vite, le vite degli altri e anche i livelli inanimato, vegetativo e animale della natura, tutto in nome del nostro godimento personale.

Tuttavia, come esiste in noi il grande ego dominante, il Faraone, esiste anche un piccolo desiderio chiamato “Mosè”. Mosè appare come una certa forza o pensiero che ci dice che stiamo andando nella direzione sbagliata, che siamo davvero sotto il dominio del Faraone, il dominio dei nostri desideri egoistici, ma è dannoso per noi e dobbiamo trovare un modo per uscire da questa modalità egoistica di desiderare esclusivamente il beneficio di noi stessi a scapito degli altri e della natura.

Contenuti scritti ed editati da studenti, basati sulle loro conversazioni con il Rav dr. M. Laitman.   

È sbagliato voler essere ricchi?

Molte persone pensano al denaro in modo dispregiativo, ad esempio come la radice di tutti i mali.

Altri pensano al denaro semplicemente come a un mezzo: lavoriamo, guadagniamo e poi possiamo pagare ciò di cui abbiamo bisogno e che vogliamo. Il secondo punto sembra abbastanza chiaro e logico: guadagnando, non siamo un peso per la società, non chiediamo la carità e possiamo quindi goderci la nostra vita.

In ebraico, la parola che indica il denaro è “Kesef“, che deriva dalla parola “copertura” (“Kisui“), cioè il denaro ci permette di coprire i nostri bisogni con il nostro lavoro. In altre parole, ci impegniamo con la nostra mente e i nostri sentimenti e questo lavoro copre i nostri bisogni.

Il denaro non è un male e non deve essere considerato in modo dispregiativo. Non c’è alcun problema con il denaro in sé e per sé. Al contrario, possiamo esserne orgogliosi.

Il problema è quando inseguiamo il denaro non come mezzo, ma come fine, quando ne facciamo un idolo, un Dio, inchinandoci davanti ad esso e volendo solo guadagnare sempre di più.

Quando perseguiamo il denaro in questo modo, vedendolo come una fonte illimitata di appagamento verso cui ci sforziamo costantemente di tendere sempre di più, raggiungiamo uno stato in cui non ci è più utile.

Da un lato, la natura ha alcune leggi che mirano a connetterci armoniosamente, sviluppandoci in uno stato in cui ognuno di noi darà la priorità al beneficio degli altri rispetto al proprio tornaconto. D’altra parte, quando ci concentriamo sull’eccessiva ricerca del denaro, agiamo in modo contrario alla direzione in cui la natura vuole che ci sviluppiamo.

Facciamo quindi del denaro un Dio. Lo idolatriamo e, così facendo, ci limitiamo molto. Sembra che il denaro ci compri la libertà, perché così possiamo viaggiare dove vogliamo, mangiare quello che vogliamo in qualsiasi ristorante, avere l’auto e la casa che vogliamo, e così via, ma così facendo non ci rendiamo conto di come in realtà derubiamo noi stessi.

Come facciamo a derubare noi stessi quando ci concentriamo solo sul guadagnare sempre di più?

Rendendo i soldi un Dio, e non noi stessi.  Al contrario, dobbiamo fare di noi stessi un Dio, e non il denaro.

Questo significa che dobbiamo  iniziare a sviluppare qualità interamente divine, ovvero qualità dell’amore, dazione e connessione. Ci relazioneremo quindi con il mondo come se fosse nostro e gestiremo il suo sviluppo in una direzione positiva, come se ognuno di noi contenesse l’umanità dentro di sé, che tutti sono nel nostro regno e ognuno di noi è il suo re.  

Arriveremo quindi a vedere gli altri come il nostro popolo, i cittadini del nostro regno, e questo ci darà la possibilità di portarli al miglior stato possibile semplicemente attraverso il nostro atteggiamento positivo nei loro confronti, cercando di rendere la loro vita la migliore possibile.

Contenuti scritti ed editati da studenti, basati sulle loro conversazioni con il Rav dr. M. Laitman.