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Perché non riusciamo a smettere di litigare

Quando riflettiamo sulla storia dell’umanità, ci accorgiamo che le persone hanno sempre combattuto tra loro. Sembra che non ci sia mai stata, veramente, pace, ma solo una pausa tra una battaglia e un’altra. L’attitudine dell’uomo a combattere continuamente sembra ancora più sconcertante se la si confronta con la natura, dove si combatte solo per mangiare, per evitare di essere mangiati o per accoppiarsi, ma gli animali raramente si fanno del male a vicenda. Perché gli esseri umani combattono se non c’è una ragione esistenziale che li costringe? Inoltre, anche quando una battaglia non è combattuta con le armi, siamo comunque in guerra: discutiamo, dibattiamo e lottiamo per conquistare l’opinione pubblica. In breve, la nostra intera esistenza consiste nel combattere.

Esiste un buon motivo per questo. Sembra che non ci sia un motivo esistenziale che ci obbliga a combattere, ma in realtà c’è.  Mentre gli animali combattono per la loro sopravvivenza fisica, noi combattiamo per la nostra sopravvivenza spirituale.  I nostri ego ci portano ad eccedere e trionfare, dato che senza la sensazione di superiorità, i corpi potrebbero sì esistere, ma non ci sentiremmo vivi.  Non c’è nulla di peggiore per l’ego dell’umiliazione: le persone si tolgono la vita per questo. 

In altre parole, ci sentiamo vivi solo quando dominiamo qualcun altro. Questa è l’unica affermazione sulla nostra esistenza che l’ego accetta. È per questo che siamo costretti a lottare gli uni contro gli altri anche quando sembra che non ci siano motivi ragionevoli per farlo. Poiché tutte le nostre comunicazioni, a ogni livello, sono battaglie di qualche tipo, sembriamo condannati a una vita di battaglie senza fine, finché non siamo esausti e passiamo a miglior vita.

Ma c’è una ragione profonda. Gli scontri continui ci obbligano a chiederci quale sia il significato di tutto: perché litighiamo, perché ci facciamo del male, perché esiste così tanta cattiveria nel mondo, e alla fine, perché esistiamo.

Queste domande, in definitiva, ci portano a renderci conto che non esiste soltanto una forza (maligna) nel mondo, ma anzi, ce ne sono due: una positiva e una negativa. La forza positiva crea la vita, il calore, la crescita e la connessione, mentre la forza negativa genera la morte, il freddo, il decadimento e la separazione. Se esistesse un’unica forza, non potremmo esistere. Ci vogliono entrambe per creare la vita, e ci vogliono entrambe per generare sviluppo e cambiamento. Si scopre che, ironia della sorte, è la guerra a farci sentire vivi.

Di conseguenza, se una nazione vuole dominare, ci devono essere anche altre nazioni, quindi avrà chi dominare. Inoltre, se una nazione domina sempre, la sensazione di dominio si affievolisce, la nazione dominante perde la sua spinta, si indebolisce e un’altra nazione prende il sopravvento.

La lotta tra le forze positive e negative attiva la vita, quindi deve esistere. Tuttavia, spetta a noi stabilire se diventa una guerra o meno.

Per consentire l’esistenza e lo sviluppo, pur mantenendoli pacifici, dobbiamo comprendere il significato di pace. La parola ebraica che indica la pace è shalom, dalla parola shlemut, che significa interezza o complementarità. In altre parole, c’è vita solo quando entrambe le parti esistono e si completano a vicenda. Inoltre, il potere di una determina il potere dell’altra, poiché la lotta tra di esse le spinge continuamente a evolversi.

Per porre fine alle guerre, dobbiamo comprendere questo processo e accettarlo. Non fermerà la lotta tra le forze, ma la renderà costruttiva anziché distruttiva.

Quando un atleta vuole migliorare i propri risultati, per esempio, si allena con sempre più rigore.  Sa che soltanto sfidando se stesso riuscirà a migliorarsi. 

Allo stesso modo, solo se la competizione tra nazioni e persone si intensifica, tutti noi miglioreremo. Tuttavia, solo se ricordiamo che lo scopo della competizione non è controllare, sconfiggere o umiliare gli altri, ma migliorare tutte le persone coinvolte, saremo in grado di competere, ma anche di accogliere le nostre sfide e i nostri sfidanti, perché se non fosse per loro, saremmo fermi.

Quando passeremo a una logica  di mutua  complementarità, non ci sarà nessuno più forte dell’altro. Al contrario, ci sarà un impegno reciproco per soddisfare il benessere di tutti. La comprensione del fatto che siamo reciprocamente dipendenti e che i nostri avversari percepiti sono in realtà la garanzia del nostro sviluppo è la chiave per costruire una società prospera, in evoluzione e sostenibile in tutto il mondo e in ogni nazione, i cui membri vivono pacificamente e felicemente.