Uccidere il leader dell’ISIS non risolverà nulla

Giovedì 3 febbraio scorso, un raid antiterrorismo statunitense nel nord-ovest della Siria ha ucciso il leader dell’ISIS Abu Ibrahim al-Hashimi al-Qurayshi. Al-Quraishi aveva guidato il gruppo dalla morte del suo fondatore, Abu Bakr al-Baghdadi, ucciso in un altro raid statunitense nel 2019. Devo ammettere che l’ho scoperto da poco. Normalmente, so cosa sta succedendo nel mondo, ma in questo caso l’omicidio fa così poca differenza che la storia mi è completamente sfuggita. Inoltre, non abbiamo idea di chi gli succederà e di cosa potrebbe fare, quindi non sono affatto sicuro che eliminare al-Qurayshi in questo momento sia stato saggio.

In generale, i gruppi terroristici non nascono da soli; dietro ogni organizzazione terroristica ci sono paesi potenti che li usano nelle guerre per procura. In passato, i paesi si combattevano tra loro e uccidevano decine di migliaia di persone. Le economie erano rovinate e la devastazione era disastrosa. Oggi, i paesi usano eserciti paramilitari per procura, detti “organizzazioni terroristiche”, che combattono per loro.

Da un lato, è meglio combattere guerre per procura che iniziare una guerra totale. Dall’altro, non possiamo considerare il terrore uno sviluppo positivo. Dovremmo aspirare a vivere senza entrambi.

In passato, era difficile immaginare un mondo senza guerre. Ma dalla fine della seconda guerra mondiale, il mondo occidentale vive ormai da quasi ottant’anni senza guerre sul suolo europeo o nordamericano. Anche se oggi è molto difficile immaginare un mondo senza terrorismo, questo non è impossibile da realizzare.  Così come l’Occidente ha deciso di non combattere più perché si è reso conto di ciò che la guerra può fare, il mondo, alla fine, arriverà ad un punto in cui deciderà di non permettere il terrorismo,  per la stessa ragione per cui l’Occidente ha abolito la guerra.

Ci arriveremo quando tutta l’umanità deciderà di correggere il cuore del male in questo mondo: la natura umana.

Ci sono due modi per arrivarci: Il primo è che la natura ci costringa a riconoscerci l’un l’altro, a prenderci in considerazione l’un l’altro e alla fine anche a sviluppare una sensibilità per l’altro. Il secondo modo è sviluppare questa sensibilità verso l’altro volontariamente. In entrambi i casi, dovremo sviluppare cura e preoccupazione l’uno per l’altro.

Realisticamente, la strada verso questo stato ideale consisterà probabilmente in un misto delle due possibilità. La natura ci costringerà presumibilmente ad avvicinarci un po’ l’uno all’altro, a diventare un po’ più premurosi attraverso colpi naturali o violenza, man mano che ci avvicineremo ci renderemo conto che questa forma di relazione è preferibile all’odio e alla diffidenza.

In seguito, ricadremo di nuovo nei nostri modi meschini e la natura ci ricorderà di nuovo, dolorosamente, la nostra interdipendenza.

Alla fine, il dolore si sarà inciso abbastanza profondamente nella nostra memoria collettiva da non farci tornare alla violenza e alle opinioni  egocentriche.

Possiamo anche rendere il viaggio più breve e meno doloroso ricordandoci l’un l’altro prima di subire ulteriori colpi dalla natura o dalle persone, ma questo dipende dalla nostra volontà di ascoltare. La scelta è nostra. La società umana avrà una fine felice, ma la questione è se il nostro cammino sarà felice o se lasceremo che la sofferenza ci conduca alla fine felice.

Didascalia della foto
Il Pentagono rilascia filmati di monitoraggio del rifugio del leader dell’ISIS Abu Ibrahim al-Hashimi Al-Qurayshi in Siria prima del raid degli Stati Uniti

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