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Mamma, perché c’è la guerra?

Il bombardamento deplorevole dell’ospedale pediatrico a Mariupol, nel sud dell’Ucraina, mi ricorda la storia di una madre, che ha raccontato ai giornalisti della domanda di suo figlio: “Mamma perché c’è la guerra?”.  Ha detto che qualche settimana prima, aveva alleviato le preoccupazioni di suo figlio spiegandogli che le persone non combattono più le guerre come una volta, che siamo passati oltre.  Ora, lei e suo figlio si nascondono nella stazione della metro in un improvvisato rifugio antiaereo, mentre suo marito combatte in prima linea.

Molti bambini pongono domande così difficili in questi giorni, una conseguenza delle terribili circostanze in cui sono stati scaraventati senza preavviso.  Ma i bambini capiscono la guerra meglio di quanto pensiamo.  Dopotutto, la loro vita è una sfida quotidiana. Dato che non hanno ancora acquisito le abilità necessarie per destreggiarsi senza problemi nelle situazioni sociali, per loro ogni giorno all’asilo o a scuola è una battaglia.

Per dare loro una risposta vera e utile, dovremmo dire che il nostro ego è la causa di tutte le guerre. L’ego vuole soddisfare se stesso e non prendere in considerazione nessun altro. Di conseguenza, dovremmo dire loro che proprio come i bambini possono litigare per un giocattolo, gli adulti litigano per parti di territorio. Allo stesso modo, quando i bambini litigano, potrebbero picchiarsi con un bastone o una pala di plastica, mentre gli adulti usano carri armati e aeroplani. 

Non cambia nulla dall’infanzia all’età adulta: un’altra persona ha qualcosa che voglio o che penso debba essere mio, io lo prenderò con la forza, se è necessario. Questo è il modo in cui funziona l’ego e questa è la ragione di tutte le guerre.

Un bambino che si nasconde dai “giochi” degli adulti, capirà il messaggio in maniera molto chiara.  Questa è la nostra opportunità di spiegare, purtroppo fin troppo chiaramente, che combattere non è un bene, che se ci prendiamo cura gli uni degli altri e se condividiamo, tutti avranno di più e non dovremo lottare per quello che vogliamo o per proteggere quello che abbiamo.

Una volta che i bambini fanno propria la lezione della condivisione, questa resterà con loro per tutta la vita. Li aiuterà nei loro rapporti con gli altri per sempre e si spera che, grazie alle chiare spiegazioni delle loro madri, siano in grado di evitare le guerre in futuro.

 

Didascalia foto:
Sfollati dalla zona di Mariupol che hanno trovato rifugio in un campo profughi nell’insediamento di Bezymennoye,  durante il conflitto Ucraina-Russia nella regione di Donetsk, Ucraina 8 marzo 2022. REUTERS/Alexander Ermochenko

Un problema sistemico di depressione richiede una soluzione sistemica

La depressione è una condizione che è andata via via crescendo nel mondo industrializzato nel corso degli ultimi decenni, ma con la pandemia il problema è aumentato a dismisura, come i tassi di mortalità per abuso di sostanze, i suicidi e l’uso delle armi da fuoco. L’ansia è diventata un problema importante ma non sempre è possibile rivolgersi a medici specialisti, sia per l’elevato costo dei trattamenti o magari per la difficoltà di raggiungere personale specializzato oppure per entrambe queste circostanze. Una tale condizione richiede uno sforzo sistemico e concertato. Possiamo salvare molte vite e migliorare le condizioni di tantissime altre attraverso l’uso dei mass media per diffondere messaggi di conforto e dare consigli a persone in difficoltà.

Ovunque nel mondo le persone stanno sollevando domande critiche riguardo allo scopo delle loro vite. La loro incapacità di rispondere a tali domande, li lascia con un senso di inutilità e se non si ha uno scopo nella vita, si pensa che la vita sia senza scopo. Questa è la causa del desiderio di evasione espresso in una miriade di modi, dalla pratica degli sport estremi al fondamentalismo religioso, passando per l’abuso di sostanze fino al suicidio.

Per gli esseri umani, azioni come mangiare, bere, dormire ed accoppiarsi, non sono intrinseche al concetto di vivere. Esistere vuol dire vivere appieno il motivo per cui siamo stati messi al mondo. Se non conosciamo il motivo per cui siamo stati messi qui, non sentiamo di essere vivi, né che la nostra vita abbia valore e questo può portare a conseguenze orribili.

Se solo poche persone si trovassero in questa condizione, si potrebbero rivolgere a professionisti in grado di lenire il loro dolore fino a quando non trovano lo scopo nella vita. Ma quando sono in molti a vivere questa angoscia, il sistema viene travolto e sopraffatto e bisogna quindi cercare un nuovo approccio.  I media di ogni ordine e grado dovrebbero diffondere messaggi che possano aiutare a risolvere questa situazione, piuttosto che riempire le nostre teste di messaggi che ci inducono a fare shopping ed a svuotare i nostri portafogli e, cosa ancora più importante, a svuotare i nostri cuori.

Non è impossibile: la questione risiede nella risolutezza dei governi e nella comprensione da parte dei media che la situazione potrà presto sfuggire di mano. In uno stato di emergenza bisogna agire di conseguenza e noi sicuramente stiamo per varcare quella soglia.

Ci sono molti modi in cui i media possono alleviare la crescente infelicità della gente, ma tra tutti, il più efficace sarebbe quello di invertire la tendenza attuale,  cioè di montare le persone le une contro le altre e incoraggiarle invece ad avvicinarsi. Innumerevoli studi hanno dimostrato come la solidarietà e la coesione nella società aiutano a mitigare o anche a rallentare sia tante patologie che altrettanti problemi socioeconomici. Dunque se i media riservassero un “trattamento collettivo” pubblicando contenuti che incoraggiano le persone ad avvicinarsi, si risolverebbero molti problemi esistenziali.

Si dice che “un dolore condiviso è un dolore dimezzato”. Questo è molto vero. Connettersi agli altri e condividere è un modo sicuro per unire i nostri cuori e guarire dalle malattie. Più lavoriamo sulla nostra solidarietà, più velocemente riusciremo a dipanare le tante questioni di natura sociale ed emotiva.

Didascalia della foto:
Compresse di Hydrocodone a base di oppioidi in una farmacia di Portsmouth, Ohio, 21 giugno 2017. REUTERS/Bryan Woolston