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Non c’è un posto dove scappare

Nel 1938, dopo che i cittadini polacchi perpetrarono pogrom contro gli Ebrei in Polonia, l’influente poeta e cantautore ebreo Mordechai Gebirtig scrisse una canzone che avvertiva gli Ebrei polacchi del pericolo imminente. “Fuoco, fratelli, fuoco! La nostra città è tutta in fiamme!” scrisse. Testimoniò di aver pianto come un bambino quando scrisse quelle parole. Anche se la canzone divenne popolare e il ritornello era: “E voi vi trattenete e non date una mano”, questo non aiutò.

Come lui, il kabbalista Yehuda Ashlag, autore del commentario Sulam [Scala] al Libro di Zohar, aveva previsto la calamità. Essendo residente a Varsavia, mise in guardia gli Ebrei del luogo e cercò di fare in modo che centinaia di famiglie ebree venissero in Israele (allora Palestina) e si salvassero. Purtroppo per gli Ebrei, i capi della comunità di Varsavia li dissuasero dal piano promettendo che non sarebbe stato fatto loro alcun male.

Il mese scorso, alla vigilia del giorno dell’indipendenza della Polonia, centinaia di manifestanti si sono riuniti nella città polacca di Kalisz e hanno giurato di cacciare i nemici della patria in Israele, riferendosi ai 3.500 Ebrei che vivono oggi in Polonia. Hanno bruciato libri, gridato: “Morte agli Ebrei!” e nessuno li ha fermati.

Questo non succede solo in Polonia. Ogni giorno sentiamo di un’altra dimostrazione contro gli Ebrei in qualche luogo del mondo. Gli Ebrei vengono insultati a New York, picchiati in Belgio, i loro negozi vengono imbrattati con graffiti neonazisti in Germania, vengono assassinati in Francia, e sinagoghe e cimiteri vengono dissacrati in tutto il mondo.

A differenza dei giorni del Terzo Reich, oggi tutti vedono quello che succede. In alcuni casi, gli attacchi sono trasmessi in diretta sui social media. L’unica cosa che non è cambiata è la nostra compiacenza, la nostra cecità alla verità, dato che siamo nel mezzo di un’ondata antisemita che sta crescendo come una palla di neve e che nessuno può o vuole fermare.

Non dobbiamo soccombere a questa ottusità. Dobbiamo riconoscere la (molto) scomoda verità: se gli Ebrei prima della seconda guerra mondiale avevano un posto dove scappare, almeno in una certa misura, oggi non c’è più nessun posto dove scappare. Non c’è un rifugio sicuro per gli Ebrei.

L’unico rifugio che ci rimane è il legame che ci unisce. Dobbiamo forgiare un legame così stretto da formare uno scudo contro coloro che vogliono il nostro male. Ora è il momento di tornare ai nostri valori fondamentali: “Ama il tuo prossimo come te stesso” e “come un solo uomo con un solo cuore”.

C’è un potere spirituale nel legame tra di noi. È il legame che ci univa nei tempi antichi. È sempre stata la nostra protezione; quando l’abbiamo coltivata tra noi, ha sciolto l’odio delle nazioni verso di noi.

Non siamo una nazione isolata. I nostri antenati provenivano da tutta la Mezzaluna Fertile, e i popoli che vi abitavano si sono poi diffusi in tutto il mondo. La nazione ebraica racchiude al suo interno rappresentanti di tutte quelle nazioni, e questo piccolo, indistinguibile legame ci collega ad ogni nazione della Terra.

Perciò, quando facciamo pace tra di noi, le nazioni del mondo ci rispettano e fanno pace tra di loro. D’altra parte, quando siamo disuniti, l’umanità ci disprezza e ci incolpa delle lotte che scoppiano tra loro.

Per aiutare noi stessi e aiutare il mondo, dobbiamo smettere di scappare e guardarci l’un l’altro, guardare i fratelli che odiamo. Dobbiamo superare l’animosità che proviamo gli uni per gli altri non perché lo vogliamo, ma perché è ciò di cui il mondo ha bisogno, e l’unica cosa che lo farà smettere di perseguitare gli Ebrei.