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Come superare i conflitti nella relazione. Una soluzione che funziona veramente (e che nessuno vuole sentire)

Ogni relazione attraversa dei conflitti.  Sono spiacevoli, ma inevitabili. Superare il conflitto è necessario per rafforzare e intensificare il rapporto.  Una relazione durerà soltanto se ha passato diversi conflitti.  Il problema è che i conflitti sono spiacevoli e spesso ci spaventano, e quindi cerchiamo di evitarli.  Se sapessimo come accettarli ed elevare la nostra connessione ad un livello più alto, andando al di sopra del conflitto, allora non li temeremmo e saremmo in grado di risolvere quasi ogni tipo di disaccordo. 

I disaccordi derivano da un conflitto di interesse.  Questo è chiaro.  Quando voglio una cosa e la mia compagna ne vuole un’altra, mi arrabbio.  Questo è vero in qualsiasi tipo di relazione con la gente, con gli animali, e persino con le macchine (pensiamo alle maledizioni che lanciamo alla macchina se una mattina invernale non parte). 

Quando si tratta dei nostri compagni, la soluzione è semplice, eppure difficile da fare: baciarsi sulle labbra.  Esattamente nel momento di rabbia, fare l’opposto.

Su un livello più profondo, dobbiamo capire che ogni persona ha desideri, pensieri e approcci alla vita diversi.  Una relazione è l’unione di due o più persone differenti in un unico intero.  In una buona relazione, la differenza tra di loro aiuta ogni parte a sviluppare le qualità e le prospettive che non avrebbero sviluppato se non fossero nella relazione.  In una relazione negativa, le lotte di potere soffocano la crescita delle persone coinvolte, l’oppresso e l’oppressore diventano stagnanti e consolidati nelle loro convinzioni, e l’amore tra di loro si dissolve.

Una buona relazione richiede lavoro.  La relazione negativa è quella naturale. Per costruirne una positiva, devo accettare che anche l’altra prospettiva ha dei meriti, sebbene non sia la mia. Se lo accetto, il che richiede una certa esperienza di “lotta”, scoprirò che l’altra prospettiva mi fornisce idee e prospettive che non potrei sviluppare da solo.

Ne consegue che baciando la compagna proprio quando si è arrabbiati non significa che non si è più arrabbiati ma che si apprezza e si tiene alla compagna anche quando si è arrabbiati e che la tua rabbia non scaccia l’amore. E’ un’affermazione della forza della vostra connessione.

Il re Salomone, detto l’uomo più saggio tra gli uomini, disse a tal proposito:  “ L’odio suscita discordia, e l’amore coprirà tutti i crimini” (Prov. 10:12). In altre parole, mantieni l’odio, ma coprilo con l’amore, rendi l’amore più importante della rabbia passeggera. I benefici che coglierete sono enormi. 

Quando gestiamo i conflitti in questo modo, non solo cambiamo noi stessi ma cambiamo anche la nostra compagna. Senza dire una parola, senza predicare o rimproverare, ma semplicemente con il nostro esempio, spianiamo la strada ad una sana relazione.

La strada lunga e tortuosa (non la dobbiamo prendere)

Dobbiamo comprendere l’unicità dello stato attuale dell’umanità. In tutto il mondo sta emergendo un nuovo sistema. In questo sistema, siamo tutti connessi, inconsapevolmente, controvoglia e irreversibilmente. Il sistema è sempre stato lì, ma ora i fili ci stanno avvicinando sempre di più fino a non poter più ignorare la nostra interdipendenza, anche se proprio non vogliamo pensarci. 

Sta diventando evidente che tutta la creazione è diretta verso l’interconnessione e coloro che vi si oppongono ne usciranno sconfitti. Stiamo marciando su una strada lunga, tortuosa e dolorosa mentre potremmo prenderne una breve, rapida e piacevole. Tutto ciò di cui abbiamo bisogno per intraprendere il percorso desiderabile è abbracciare la connessione. Se lo rifiutiamo, rimarremo sul percorso attuale e doloroso fino a quando non saremo finalmente d’accordo a connetterci.

I disastri e le crisi crescenti che sembrano prendere d’assalto il mondo da tutte le direzioni sono i colpi di scena sul nostro percorso verso la connessione. Ogni volta che ci allontaniamo da esso, la realtà ci costringe a renderci conto che dipendiamo l’uno dall’altro e che faremmo meglio ad accettarlo.

Guardate i prezzi in aumento in tutto il mondo; guardate l’aumento dei costi di trasporto, i gruppi di navi mercantili stipate fuori dai porti per settimane in attesa del loro turno per lo sbarco. Guardate come ci infettiamo a vicenda con nuovi ceppi di Covid ogni pochi mesi. Guardate come la carenza di chip di silicio sta paralizzando la produzione globale di qualsiasi cosa, dalle automobili ai computer e agli elettrodomestici. Questi sono tutti segnali spiacevoli e inutili che siamo tutti collegati.

Non c’è davvero carenza di nulla. C’è abbastanza cibo, abbastanza beni, abbastanza chip per computer, abbastanza olio, abbastanza di tutto per soddisfare tutti. L’unica cosa che non è mai soddisfatta è il nostro ego, che trae la sua soddisfazione dall’abuso degli altri. Per mettere gli altri in difficoltà, il nostro egoismo crea crisi dove non ce n’era bisogno. Non ci rendiamo conto che, poiché siamo tutti connessi, quando feriamo gli altri, feriamo anche noi stessi.

Abbiamo bisogno di una nuova mentalità. Dobbiamo renderci conto che nella realtà emergente, i paesi e le organizzazioni che si adattano all’esigenza di connettersi raccoglieranno i frutti dei loro sforzi, mentre quelli che si rifiuteranno saranno lasciati indietro. 

Certo, è un percorso.  Ci vorrà del tempo per cambiare veramente i nostri schemi di pensiero. Tuttavia, non è necessario che ci si riesca subito per avviare il cambiamento. Lo stesso sforzo di cambiare direzione è sufficiente per creare uno slancio positivo che ci metterà sulla strada giusta verso un’umanità soddisfatta e contenta. Astenersi dallo sforzo ci manterrà sulla strada lunga, tortuosa e sempre più dolorosa finché non ci inchineremo ai dettami della realtà e alla fine accetteremo di connetterci.

Considerazione: il termine di moda che indicherà il cambiamento

Dall’est all’ovest, il mondo sta annegando in un’altra ondata di coronavirus. Nonostante i vaccini e i richiami, il futuro sembra tetro. Fino a quando non impareremo la lezione che il virus vuole insegnarci, non ce ne potremo liberare.  I nostri valori fondamentali, quelli che hanno portato il virus, fin dall’inizio, non sono cambiati e quindi non c’è motivo perché il virus sparisca. Solo quando cambieremo il nostro atteggiamento verso ogni persona e ogni cosa che ci circonda, potremo vedere un calo nel numero di contagi.

Perché tutto ad un tratto notiamo un aumento dei prezzi ? Per nessun altro motivo oltre all’avidità maligna, l’intenzione di arricchirmi e impoverire gli altri.

Quanto a noi, perché siamo così concentrati sugli acquisti?  Di cosa abbiamo bisogno realmente? Un altro aggeggio ci renderà persone felici? Se l’unica cosa che servisse a rendere le persone felici fosse un nuovo giocattolo, non vedremmo più centomila Americani morire di overdose in un unico anno, la maggior parte dei quali giovani.  Non  vedremmo più tanta violenza, tanta depressione, tanto odio e tanta divisione. 

Se lavorassimo su questi problemi piuttosto che seppellire la testa nelle sabbie mobili di Amazon.com, staremmo molto meglio e non soffriremmo più di virus persistenti.  Proprio come il virus ci insegna, siamo interdipendenti.  Non possono esistere persone sane e felici in un luogo  mentre in altrove esistono persone infelici. Oggi, se non stanno bene tutti, nessuno starà bene. Questo vale non solo per il virus, ma per l’aria, l’acqua, la ricchezza e ogni altro aspetto della vita. 

Misuro i progressi o i regressi dai cambiamenti che vedo nelle persone. Dato che non vedo nessun cambiamento in esse, non posso dire abbiamo fatto progressi e non c’è alcun motivo perché il virus ci abbandoni. Siamo ancora violenti l’uno verso l’altro come lo eravamo nel 2019, e siamo altrettanto brutali verso l’ambiente come allora. Per parafrasare le parole di Albert Einstein, la stupidità è fare la stessa cosa ripetutamente e aspettarsi risultati diversi. 

Tutti capiamo questo tranne quando riguarda il nostro comportamento.  Di conseguenza, sono morte milioni di persone e migliaia moriranno ogni giorno per nessun motivo se non per  il nostro disinteresse. Il mondo è in grado di provvedere a tutti, in abbondanza; non c’è alcuna carenza di qualsiasi cosa, anzi c’è eccesso! Allora perché esistono persone affamate, assetate, malate e senza tetto?  Perché non ricevono un’educazione e un servizio sanitario decente?  La risposta è perché non ci interessa l’uno dell’altro.

Non parliamo soltanto dei beni basilari della vita. Guardate il fondamentalismo pervasivo che si è impadronito della società. Consideriamo coloro che non sono d’accordo con noi come nemici pubblici. Quando la diversità di opinioni diventa un crimine, il totalitarismo prende il sopravvento e qualsiasi mezzo è legale per frenare il libero pensiero.

Forse non vediamo la connessione tra la diversità e la considerazione reciproca e il virus, ma la connessione esiste: È il nostro egoismo. Sfruttiamo tutti, persone, animali e tutta la natura. Sentiamo che solo noi contiamo, e tutto il resto deve servirci o estinguersi.

Quando questo sentire diventa abbastanza intenso in una massa critica di persone, fa a pezzi il sistema e tutto crolla, dalla società umana passando per il regno animale fino alla terra su cui ci troviamo. Effettivamente, provate a trovare un’area in cui non ci sia una crisi e non riuscirete.

Il problema è la causa comune: l’umanità. Nessun discorso altisonante sull’equità e l’uguaglianza cambierà il fatto che ci odiamo a vicenda. Finché non ci rendiamo conto che siamo diversi e che dobbiamo comunque permettere a tutti di essere ciò che sono, non inizieremo a cambiare le cose in meglio.

La parola di tendenza che indicherà l’inizio del cambiamento è:  “Considerazione”. Fino a quando non impareremo a considerare gli altri, il mondo non ci considererà.  

 

Non c’è un posto dove scappare

Nel 1938, dopo che i cittadini polacchi perpetrarono pogrom contro gli Ebrei in Polonia, l’influente poeta e cantautore ebreo Mordechai Gebirtig scrisse una canzone che avvertiva gli Ebrei polacchi del pericolo imminente. “Fuoco, fratelli, fuoco! La nostra città è tutta in fiamme!” scrisse. Testimoniò di aver pianto come un bambino quando scrisse quelle parole. Anche se la canzone divenne popolare e il ritornello era: “E voi vi trattenete e non date una mano”, questo non aiutò.

Come lui, il kabbalista Yehuda Ashlag, autore del commentario Sulam [Scala] al Libro di Zohar, aveva previsto la calamità. Essendo residente a Varsavia, mise in guardia gli Ebrei del luogo e cercò di fare in modo che centinaia di famiglie ebree venissero in Israele (allora Palestina) e si salvassero. Purtroppo per gli Ebrei, i capi della comunità di Varsavia li dissuasero dal piano promettendo che non sarebbe stato fatto loro alcun male.

Il mese scorso, alla vigilia del giorno dell’indipendenza della Polonia, centinaia di manifestanti si sono riuniti nella città polacca di Kalisz e hanno giurato di cacciare i nemici della patria in Israele, riferendosi ai 3.500 Ebrei che vivono oggi in Polonia. Hanno bruciato libri, gridato: “Morte agli Ebrei!” e nessuno li ha fermati.

Questo non succede solo in Polonia. Ogni giorno sentiamo di un’altra dimostrazione contro gli Ebrei in qualche luogo del mondo. Gli Ebrei vengono insultati a New York, picchiati in Belgio, i loro negozi vengono imbrattati con graffiti neonazisti in Germania, vengono assassinati in Francia, e sinagoghe e cimiteri vengono dissacrati in tutto il mondo.

A differenza dei giorni del Terzo Reich, oggi tutti vedono quello che succede. In alcuni casi, gli attacchi sono trasmessi in diretta sui social media. L’unica cosa che non è cambiata è la nostra compiacenza, la nostra cecità alla verità, dato che siamo nel mezzo di un’ondata antisemita che sta crescendo come una palla di neve e che nessuno può o vuole fermare.

Non dobbiamo soccombere a questa ottusità. Dobbiamo riconoscere la (molto) scomoda verità: se gli Ebrei prima della seconda guerra mondiale avevano un posto dove scappare, almeno in una certa misura, oggi non c’è più nessun posto dove scappare. Non c’è un rifugio sicuro per gli Ebrei.

L’unico rifugio che ci rimane è il legame che ci unisce. Dobbiamo forgiare un legame così stretto da formare uno scudo contro coloro che vogliono il nostro male. Ora è il momento di tornare ai nostri valori fondamentali: “Ama il tuo prossimo come te stesso” e “come un solo uomo con un solo cuore”.

C’è un potere spirituale nel legame tra di noi. È il legame che ci univa nei tempi antichi. È sempre stata la nostra protezione; quando l’abbiamo coltivata tra noi, ha sciolto l’odio delle nazioni verso di noi.

Non siamo una nazione isolata. I nostri antenati provenivano da tutta la Mezzaluna Fertile, e i popoli che vi abitavano si sono poi diffusi in tutto il mondo. La nazione ebraica racchiude al suo interno rappresentanti di tutte quelle nazioni, e questo piccolo, indistinguibile legame ci collega ad ogni nazione della Terra.

Perciò, quando facciamo pace tra di noi, le nazioni del mondo ci rispettano e fanno pace tra di loro. D’altra parte, quando siamo disuniti, l’umanità ci disprezza e ci incolpa delle lotte che scoppiano tra loro.

Per aiutare noi stessi e aiutare il mondo, dobbiamo smettere di scappare e guardarci l’un l’altro, guardare i fratelli che odiamo. Dobbiamo superare l’animosità che proviamo gli uni per gli altri non perché lo vogliamo, ma perché è ciò di cui il mondo ha bisogno, e l’unica cosa che lo farà smettere di perseguitare gli Ebrei.

Perché la gente ricorda l’amore solo sul letto di morte

Mi è stato detto che prima di morire, il co-fondatore e CEO di Apple Steve Jobs ha scritto una lettera in cui rifletteva sulla vita. Come si legge nella lettera, ha scritto: “Fai tesoro dell’amore per la tua famiglia, dell’amore per il tuo coniuge, dell’amore per i tuoi amici. … Dio ci ha dato i sensi per farci sentire l’amore nel cuore di tutti, non le illusioni portate dalla ricchezza. La ricchezza che ho conquistato nella mia vita, non posso portarla con me. Quello che posso portare sono solo i ricordi suscitati dall’amore. Questa è la vera ricchezza che ti seguirà, ti accompagnerà dandoti forza e luce per andare avanti.”

Infatti, prima che un individuo  muoia, comincia a sentire qualcosa della verità. L’avvicinarsi della morte gli fa rinunciare al suo ego e gli permette di vedere la verità.

C’è un confine tra il prendersi cura di se stessi e l’emergere in un regno completamente diverso dove c’è un amore traboccante. L’ego ci impedisce di trovarlo perché guarda sempre all’interno, a ciò che ho e a ciò che posso guadagnare, piuttosto che a ciò che è veramente là fuori. Tuttavia,  quando si fa da parte, ci rendiamo conto di ciò che ci è mancato per tutta la vita: un mondo pieno d’amore che esiste tutto intorno a noi.

L’ego “muore” appena prima che la persona muoia. Liberati dalle sue catene, possiamo ora renderci conto che non abbiamo mai amato veramente e non sappiamo cosa sia il vero amore. È un triste momento di resa dei conti quando ci rendiamo conto che per tutta la vita abbiamo pensato solo a noi stessi.

C’è chi consiglia alle persone sul letto di morte, io stesso ne sono stato testimone, che in quello stato dovremmo bere, fumare, divertirci e prendere il più possibile dalla vita finché possiamo. Questo approccio può essere onesto, ma non credo che porti felicità.

Dobbiamo ricordare che l’anima non smette mai di evolversi; continua a svilupparsi anche dopo la morte fisica di un uomo.  Perciò, comprendere il vero significato dell’amore, che l’amore non consiste nel sentire la propria esistenza, ma che esisto per il bene degli altri e che soddisfarli mi rende felice, questa comprensione non ha prezzo ed è eterna.

 

L’impatto dei media su di noi, una storia deprimente.

Un’ampia indagine sulla depressione pubblicata dal centro di ricerca dell’Università di Oxford “Our World in Data” mostra che la depressione è una condizione molto complicata.  Secondo i redattori  del sondaggio “le persone affette dalla depressione manifestano sintomi diversi, con diversi livelli di gravità, in diversi momenti della loro vita, con episodi che durano diversi periodi di tempo”. Peggio ancora, anche le persone non diagnosticate come depresse soffrono sintomi di depressione. E ancora peggio, il sondaggio ha trovato che la depressione è una condizione ombrello che contiene sottotipi e che in generale, sono più le persone che soffrono di depressione, o manifestano sintomi, che non le persone che non ne soffrono. 

Sebbene il sondaggio sia importante in quanto illustra la pervasività della depressione, non risponde, e nemmeno tenta di rispondere alla domanda più importante: Perché esiste la depressione?

Più ci sviluppiamo di generazione in generazione, più conosciamo il mondo in cui viviamo e le pressioni che esso esercita su di noi. Di conseguenza diventiamo depressi.  Da parte loro, i media, che avrebbero potuto ritrarre un’immagine equilibrata del mondo, scelgono invece di esacerbare la nostra depressione enfatizzando il negativo e l’angosciante nel mondo.  Sfruttando la nostra debolezza e vulnerabilità, essi non fanno altro che aumentare la nostra depressione. 

Le brutte notizie che i notiziari presentano costantemente non sono le uniche notizie che meritano di  essere trasmesse. Inoltre, se tutto ciò che presentano è malizia, violenza e frode, senza offrire alcuna soluzione a questi disturbi sociali, che speranza lasciano agli spettatori? Ci stanno educando a odiare, a diffidare e a isolarci dagli altri. C’è da meravigliarsi se in un tale stato siamo depressi?

I media, attraverso tutti i loro canali, sono il principale educatore dell’umanità.  Ci formano e modellano come vogliono mostrando  o nascondendo ciò che scelgono, secondo i loro interessi. Pertanto, ciò che sta accadendo oggi nell’umanità è prima di tutto un risultato diretto delle azioni dei media.

Non dobbiamo illuderci. Le notizie che riceviamo, le storie che leggiamo e guardiamo, e le informazioni che circolano nei nostri telefoni e computer sono tutte monitorate e manipolate per farci sentire infelici e impotenti.  In questo modo, i media stringono la loro presa su di noi e questo è ciò che realmente vogliono. 

Quando siamo depressi, compriamo più cose per compensare il nostro sconforto. Quando siamo depressi, prendiamo farmaci, droghe e facciamo cose per alleviare la tristezza. Queste azioni che compiamo portano loro molto denaro, molto potere e ci rendono dipendenti da loro, che è quello che vogliono.

Le persone possono essere felici soltanto quando hanno speranza. Se sanno che domani sarà meglio di oggi, che i loro figli avranno una vita migliore, più facile, più ricca, più sana della loro, allora hanno motivi di ottimismo e di gioia.

Sfortunatamente, i media riflettono la nostra natura, la nostra inclinazione egoistica, come è scritto “L’inclinazione del cuore di un uomo è malvagia fin dalla sua giovinezza” (Gen. 8:21) “. Finché saremo malvagi interiormente, non creeremo canali di comunicazione che ci diano speranza.

Dato che siamo marci interiormente, dato che vogliamo il potere, il denaro e tutte le cose per le quali incolpiamo i media, allora anche se li distruggessimo e costruissimo invece nuovi canali di comunicazione, essi finirebbero per essere uguali a quelli che abbiamo oggi. Alla fine, non è colpa loro se sono così; riflettono solo il nostro essere interiore.

Per cambiare veramente i media, dobbiamo cambiare noi stessi. Dobbiamo creare canali educativi alternativi che creino speranza incoraggiando la cura e la responsabilità reciproca, e che rafforzino le nostre comunità.

Se promuoviamo la coesione e la solidarietà all’interno delle nostre comunità e città, saremo in grado di compensare l’influenza negativa dei media e cambiare noi stessi dall’interno. Se cambiamo noi, i media non avranno altra scelta che seguirne l’esempio. Dopo tutto, essi dipendono dalle nostre opinioni non meno di quanto noi siamo influenzati dai loro messaggi. Se i messaggi che siamo disposti ad accogliere sono positivi, questi sono i messaggi che ci mostreranno, queste sono le notizie che riceveremo sui nostri dispositivi, e come risultato, tutta la realtà cambierà in meglio.

Siamo sofferenti perché siamo ammalati.

A volte sento che non impareremo mai a mostrare comprensione o a prenderci cura. Invece di provare compassione diventeremo così alienati che ci distruggeremo una persona alla volta fino a che saremo tutti spariti.

Se consideriamo la nostra vera natura questo è  ciò che dovrebbe succedere. Quando penso a questo divento così pessimista che ritengo che sarebbe meglio convocare l’assemblea delle Nazioni Unite (e patetiche) ed essere tutti d’accordo nel premere il bottone rosso nello stesso momento e spazzare via ogni cosa una volta per tutte. Almeno puliremmo la terra dagli esseri umani.

Se guardate al mondo, vedete chiunque, politici, scienziati, magnati del denaro, lavorare per un unico scopo: distruggere gli altri e non essere distrutti. Non esiste cura per la nostra malattia perché noi stessi siamo gli agenti patogeni. L’umanità è malata perché siamo malati nello spirito. Quando le nostre menti sono malvagie, ogni cosa che facciamo, diciamo, o pensiamo è malvagia e lo stesso è il mondo che abbiamo creato. Quando sono di questo umore, desidero solo addormentarmi, dimenticarmi di tutto e non svegliarmi più.

Allo stesso tempo, non ho altra  scelta se non continuare a fare quello che sento essere il mio ruolo, il mio compito, ovvero dire al mondo che c’è un modo completamente diverso. Sento che devo rendere le persone consapevoli che non è  obbligatorio soffrire. Possiamo vivere in una maniera totalmente differente ed essere in uno stato completamente diverso da quello in cui ci troviamo oggi.

Dobbiamo ricordare che la natura è fatta di opposti. Se c’è  nero, c’è bianco; se c’è oscurità , c’è luce  e se esiste il male assoluto, ed esiste, c’è anche  il bene assoluto.

E dunque, nonostante  tutto il pessimismo che talvolta sento, so che dopo l’oscurità in cui siamo, verrà la luce . Diventeremo l’opposto di chi siamo oggi. 

Se non siamo consapevoli che esiste l’opposto dell’oscurità , ci vorrà più tempo per trovarlo. Avverrà  in un modo o in un altro ma i nostri saggi ci dicono che non dobbiamo affondare fino a giù in fondo per poi salire su in alto, se facciamo uno sforzo concertato per arrivare lì prima. Abbiamo solo bisogno di riconoscere il male nella nostra natura e faticare e pregare di diventare l’opposto: totalmente amorevoli e totalmente  amati.

Didascalia immagine:
Un gatto corre oltre le barricate in fiamme durante uno sciopero dei metalmeccanici a Puerto Real, vicino a Cadice, Spagna, 24 novembre 2021. REUTERS/Jon Nazca

 

La triste verità della nostra esistenza e cosa possiamo fare al riguardo

La maggior parte di noi è inconsapevole dei motivi a monte delle  nostre azioni. Attraversiamo la vita con il pilota automatico, per così dire, e raramente pensiamo a cosa  ci spinge a fare quello che facciamo, a dire ciò che diciamo e a pensare ciò che pensiamo. C’è un buon motivo per questo: nessuno vuole comprendere che la motivazione delle nostre azioni è la paura. Siamo in costante modalità di fuga e il pensiero di ciò è insopportabile.

Uno dei vicini di casa nel condominio dove vivo è terrorizzato dalla sua banca. Ha un debito spaventoso e la banca potrebbe bloccare tutti i suoi pagamenti e i bonifici permanenti da un giorno all’altro.  Un altro vicino è terrorizzato dalla polizia. È stato colto  a guidare sotto effetto di droghe e ha paura che la polizia venga a perquisire il suo appartamento. Ma soprattutto, ha paura che la polizia possa entrare nel suo ufficio con dei mandati di perquisizione e metterlo in imbarazzo davanti ai suoi colleghi. 

Siamo tutti così, spaventati da qualcosa, da molte cose.  Abbiamo paura di ciò che la gente pensa di noi e di cosa possa  dire di noi. Abbiamo paura per i nostri figli su così tanti livelli che non possiamo neanche iniziare a descriverlo. Abbiamo paura del virus, del clima, dei terroristi, di essere sfruttati dai colleghi, dai collaboratori e dai capi, e abbiamo timore  riguardo al nostro futuro e a quello dei nostri figli.

In poche parole, siamo inconsapevolmente inseriti in una rete di paure che modella e determina la nostra vita in ogni singolo momento. Inoltre, è attraverso questa rete che sentiamo di essere vivi, che esistiamo. Le pressioni che riceviamo da tutto ciò che ci circonda, dai minerali alle piante e agli animali, alle persone, ci fanno sentire questo mondo e noi stessi al suo interno.

Tuttavia, questa è una percezione negativa. Cerchiamo di goderci la vita ma tutto ciò che riceviamo sono pressioni dal governo, dalla banca, dal capo, dai figli, dalla previdenza sociale, e così via. Siamo ad un punto dove ci consideriamo felici solo se nessuno o nulla ci da fastidio. Ma questa non è la felicità: è assenza di sofferenza.

Non possiamo smettere di avere paura; è il modo in cui il mondo è costruito, il modo in cui siamo fatti. Tuttavia possiamo cambiare le cose che ci spaventano, il che a sua volta cambierà il nostro modo di sentire. 

Siamo creature che cercano il piacere: abbiamo paura quando percepiamo che potremmo essere feriti o non provare piacere. Di conseguenza, la nostra paura è determinata da ciò di cui vogliamo godere. Se vogliamo godere di cose diverse da quelle che vogliamo in questo momento, avremo paura di cose diverse, e tutta la nostra visione del mondo, e in effetti tutto il nostro mondo, cambierà di conseguenza.

Il trucco per emergere dallo stato deprimente e triste della nostra esistenza è quello di spostare la nostra attenzione dalla concentrazione su noi stessi alla concentrazione sugli altri. Guardate alle madri che sono concentrate sul crescere i loro bambini. Sia tra gli umani che nel mondo animale le madri sono un grande esempio del coraggio e della forza che esse traggono dal prendersi cura degli altri, cioè dei loro figli.

Dovremmo imparare da questo. L’amore di una madre sorge naturalmente ma amare gli estranei richiede  allenamento e pratica e ampio consenso sociale al processo. Eppure questo è ciò di cui abbiamo bisogno oggi e così disperatamente. Abbiamo bisogno di imparare ad avere paura di non prenderci cura abbastanza, di non dare abbastanza. La nostra pulsione deve essere quella di una madre amorevole, la pulsione che crea vita, non la pulsione di nemici che vogliono distruggere i loro avversari. Quest’ultima è la pulsione che sentiamo in questo momento e sta uccidendo noi e il mondo in cui viviamo.

Siamo in uno stato disperato. Né il nostro pianeta né l’umanità potranno sopportare ancora a lungo la pressione negativa che esercitiamo l’uno sull’altro e sull’ambiente. A meno che non invertiamo le nostre preoccupazioni e le nostre paure dalla preoccupazione per noi stessi alla preoccupazione per gli altri, la nostra attenzione egocentrica porterà su di noi la nostra stessa distruzione.

L’eredità di un Gigante Spirituale

Sapeva che il tempo scorreva; sapeva che dovevano trasferirsi in Israele; disse al primo ministro israeliano come Israele poteva essere veramente indipendente, ha dedicato la sua vita ad aiutare il popolo ebraico e tutta l’umanità. Yehuda Ashlag, conosciuto come Baal HaSulam, il più grande kabbalista dei tempi moderni e tra i più grandi di tutti i tempi, è morto 67 anni fa lasciandoci un’eredità di amore incondizionato per il suo popolo, per tutti gli uomini e per tutto il creato. Ci ha anche lasciato dei libri e una tabella di marcia che può aiutarci a diventare come lui.

Era il 1921. Ashlag, un brillante Dayan [giudice del tribunale ebraico ortodosso] di Varsavia, la “capitale” dell’ebraismo della diaspora, che era stato nominato a questa venerabile posizione quando aveva solo diciannove anni, era ormai scomunicato da diversi anni ma non si preoccupava delle estreme difficoltà che lui e la sua famiglia sopportavano a causa di ciò. Il suo unico obiettivo era il destino del suo popolo e il destino del mondo.

Alcuni anni prima, si rese conto che l’Europa si stava dirigendo verso un antisemitismo estremo e letale. Cercò di avvertire i suoi compagni ebrei di Varsavia, ma la leadership ortodossa impedì che la sua voce fosse ascoltata. Quando insistette, misero fine alla sua posizione di dayan e tagliarono i loro legami con lui, istruendo l’intera comunità ebraica a ignorarlo. A quei tempi, un boicottaggio era una situazione che metteva in pericolo la vita, poiché si doveva dipendere dalla comunità per il lavoro, l’alloggio, l’istruzione e le provviste. Senza di loro, si era alla mercé dei Polacchi e loro non amavano gli Ebrei.

Ma Ashlag continuò a provare. Trovò un accordo per acquistare trecento baracche di legno dalla Svezia e un posto per loro da erigere in Palestina. Riuscì anche a convincere segretamente trecento famiglie ebree a trasferirsi lì per sfuggire ad un destino amaro in Europa. Ahimè, la leadership ortodossa scoprì il suo piano e convinse tutte le trecento famiglie a rimanere in Polonia. Non sapremo mai quanti di loro, se ce ne furono, sopravvissero all’Olocausto. 

Tuttavia nel 1921 accadde qualcosa. Ashlag capì che era ora di andarsene. A quel punto, aveva studiato la Kabbalah per molti anni e aveva raggiunto un livello in cui superava il suo stesso maestro. In un tale stato, non c’era più nulla che lo trattenesse in Polonia. Quello stesso anno, lui e la sua famiglia si trasferirono a Gerusalemme ed egli cominciò a scrivere profusamente.

Gli scritti di Ashlag testimoniano che non era solo un grande kabbalista, ma un rivoluzionario e un pensatore globale che comprendeva le complessità della natura umana. Usando le sue acute intuizioni, era in grado di prevedere cosa sarebbe successo in Israele e nel mondo, e fece del suo meglio per cambiare le cose in meglio. Era un accanito sionista non per il gusto di conquistare la terra, ma perché il popolo ebraico compisse il suo dovere verso il mondo: dare un esempio di unità e amore per gli altri di cui sapeva che il mondo avrebbe avuto disperatamente bisogno.

Non si accontentò di scrivere. Si incontrò con tutti gli uomini influenti del paese in quel momento e cercò di convincerli che la sovranità in sé e per sé non è sufficiente, che se Israele doveva prosperare, doveva dare un esempio di unità e responsabilità reciproca. Implorò quei leader di stabilire un’educazione all’unità al di sopra di tutte le differenze e stabilire la società basata sulla cura delle persone l’una per l’altra,  senza aspettarsi che le cose si risolvessero da sole.

Dialogò diverse volte con David Ben Gurion, il Primo Ministro di Israele, Moshe Sharett, il secondo Primo Ministro d’Israele, Haim Arlosoroff, capo del dipartimento politico dell’Agenzia Ebraica, il membro della Knesset (il parlamento di Israele) Moshe Erem, e con molti altri. Non risparmiò alcuno sforzo. Negli anni ’30, scrisse una serie di saggi che illustravano le sue opinioni di pensatore globale. Nei suoi saggi, “Responsabilità reciproca”, “La libertà”, e specialmente in “La pace” e “La pace nel mondo”, Ashlag descrisse dettagliatamente come l’umanità può prosperare nella pace. Ma Ashlag era prima e soprattutto un kabbalista. Fu attraverso la sua profonda comprensione della creazione, acquisita attraverso lo studio della Kabbalah, che divenne un pensatore così acuto. Il suo sogno era che tutti fossero saggi come lui, e che tutti si preoccupassero dell’umanità tanto quanto lui.

Per raggiungere questo obiettivo, scrisse due monumentali commenti sulle opere fondamentali della saggezza della Kabbalah.

 La sua prima impresa fu un commento in sei volumi agli scritti dell’ARI, in particolare “L’Albero della Vita” e “Le Otto Porte”. Nel suo commento, che intitolò “Lo studio delle dieci Sefirot”, interpretò gli scritti di questo grande kabbalista del XVI secolo in modo che i contemporanei potessero relazionarsi ad essi e comprenderli. Il suo secondo e più illustre risultato fu la scrittura di un elaborato commento al Libro di Zohar, completo di quattro introduzioni che spiegano al lettore come comprendere questo testo vitale.

Nel suo commento, che intitolò Sulam [Scala], tradusse il testo aramaico dello Zohar in ebraico e interpretò il significato delle parole in modo che i lettori potessero vedere come il libro non parla del mondo fisico, ma dei processi spirituali che tutti gli studenti della Kabbalah attraversano. In segno di rispetto, Rav Ashlag divenne in seguito noto come Baal HaSulam [Autore della Scala], dal nome che aveva dato al suo commento.

L’umanità deve ancora scoprire ciò che questo grande uomo ci ha dato. Egli iniziò la sua introduzione a “Lo studio delle dieci Sefirot” con le seguenti parole: “All’inizio delle mie parole, trovo un grande bisogno di rompere un muro di ferro che ci separa dalla saggezza della Kabbalah dalla rovina del Tempio [2.000 anni fa] a questa generazione”. 

Ma perché dovremmo studiare la Kabbalah? Qualche paragrafo dopo, Baal HaSulam stesso risponde a questa domanda: per trovare il senso della vita. Nelle sue parole, “Se poniamo i nostri cuori per rispondere ad una sola questione molto importante, sono certo che tutte queste domande e dubbi svaniranno dall’orizzonte, e voi guardando al loro posto le troverete sparite, cioè questa domanda indiscreta che il mondo intero si pone, ossia: ‘Qual è il significato della mia vita? In altre parole, questi anni calcolati della nostra vita che ci costano così tanto, e i numerosi dolori e tormenti che soffriamo per loro, per completarli al massimo, chi è che ne gode?”

Nel suo trattato, “Tempo di agire”, Baal HaSulam condivide il suo grande desiderio che tutti sappiano cosa sia veramente la Kabbalah. “Da molto tempo ormai”, scrive, “la mia coscienza mi ha gravato con la richiesta di uscire e creare una composizione fondamentale riguardante l’essenza di … l’autentica saggezza della Kabbalah, e diffonderla tra la nazione, in modo che la gente arrivi a conoscere e comprendere correttamente questi argomenti esaltanti nel loro vero significato”.

Per fortuna, oggi i suoi scritti, e gli scritti di tutti i kabbalisti, sono a portata di un clic. Su Kabbalah.info, abbiamo messo a disposizione tutto il materiale disponibile gratuitamente affinché tutti possano studiare. 

Ma il lavoro di Baal HaSulam non è finito. L’umanità soffre ed è più divisa che mai. Noi, che apprezziamo la sua sacra eredità, dobbiamo riprendere da dove lui ha lasciato e trasmettere a tutti la saggezza della verità, dell’amore e dell’unità.

ll problema della psicologia

Domanda: Posso studiare la forza superiore della natura per migliorare la mia vita in questo mondo, oppure per andare oltre questo mondo. Se studio per migliorare la mia vita materiale, viene definito come psicologia?

Risposta: Sì, in generale si tratta di una scienza pratica solo se riusciamo a percepirla in maniera corretta. Il fatto è che c’è un grande problema con la psicologia. Non possiamo essere oggettivi su quello che sentiamo dato che siamo all’interno della struttura della sensazione del nostro mondo.

La nostra percezione è molto limitata, e di parte. Non ci può dare la piena consapevolezza e non ci permette di usare la scienza. Non possiamo misurare le nostre sensazioni correttamente, confrontandole tra di loro, classificandole correttamente in base a cosa sentono diverse persone. Non abbiamo il metodo principale di cognizione, quello scientifico.

Quindi la psicologia non è una scienza, nel senso chiaro, reale, rigido, del termine. Non abbiamo abbastanza strumenti di misura. Descriviamo tutto in maniera molto bella, in fasi intricate, e nessuno può trasmettere all’altro delle dimensioni, direzioni e affermazioni chiare. In generale la psicologia è la scienza delle sensazioni, che non riusciamo a classificare correttamente.

 

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Dalla trasmissione di KabTV “Spiritual States” 10/15/21

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