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Dal Jewish Boston: “La Pasqua: una storia di ebrei che volevano essere egiziani”

Il Jewish Boston ha pubblicato il mio nuovo articolo “La Pasqua: una storia di ebrei che volevano essere egiziani

Per la maggior parte di noi la storia dell’esodo dall’Egitto non è altro che una favola. E’ una storia affascinante, senza dubbio, ma è rilevante ai nostri giorni? Presentata davanti ai piatti che ci vengono serviti a tavola, si tratta di un ingiusto accostamento con l’Haggadah. Ma se sapessimo cosa significa veramente la Pasqua per tutti noi, ci “berremmo” la storia invece di aspettare che questa lasci il posto all’evento principale: il cibo.

Dietro alla storia della lotta fatta da una nazione per essere libera, c’è la descrizione di un processo che noi ebrei abbiamo attraversato e che stiamo tutt’oggi attraversando. A buona ragione la Torah ci ordina di vedere noi stessi ogni giorno come se fossimo appena usciti dall’Egitto. Le sofferenze dei nostri antenati dovrebbero essere sia avvertimenti che indicazioni, che ci dicono quale strada percorrere in un mondo pieno di incertezza e trepidazione.

Il periodo di maggior prosperità di Israele in Egitto

Quando i fratelli di Giuseppe entrarono in Egitto, avevano tutto. Giuseppe l’ebreo era di fatto il governante d’Egitto. Con la benedizione del Faraone egli decideva tutto ciò che sarebbe avvenuto in Egitto, come il Faraone disse a Giuseppe: “Sovrintenderai alla mia casa e tutto il popolo obbedirà ai tuoi ordini… Guarda, io ti costituisco capo di tutto l’Egitto… Io sono il Faraone ma senza il tuo permesso nessuno deve alzare la mano o il piede in tutto l’Egitto” (Genesi 41:40-44).

Grazie alla saggezza di Giuseppe, l’Egitto non solo divenne una superpotenza ma rese schiave le nazioni confinanti e prese il denaro dei loro popoli, la terra e le greggi (Genesi 47:14-19). Ed i principali beneficiari del successo d’Egitto furono la famiglia di Giuseppe, gli ebrei. Il Faraone disse a Giuseppe: “La terra d’Egitto è a tua disposizione; nel miglior sito del paese colloca tuo padre ed i tuoi fratelli, lascia che essi vivano nel paese di Goshen (la parte d’Egitto più ricca e lussureggiante) e se conosci che vi siano tra essi uomini di valore, mettili a capo delle mie greggi” (Genesi 47:6).

Vi è un buon motivo per cui Giuseppe divenne così di successo. Tre generazioni prima il suo avo, Abrahamo, trovò un metodo per curare tutti i problemi della vita. Il Midrash Rabbah ci dice che quando Abrahamo vide i suoi concittadini ad Ur dei Caldei che combattevano fra loro, lui ne fu profondamente turbato. Dopo una lunga riflessione egli capì che essi stavano diventando sempre più egoisti e non riuscivano più ad andare d’accordo. L’odio tra loro era la causa delle loro liti e lotte, a volte mortali. Abrahamo capì che l’ego non poteva essere cancellato ma poteva essere coperto con l’amore, focalizzandosi sulla connessione piuttosto che sulla separazione. Per questo Abrahamo è ritenuto il simbolo della gentilezza, dell’ospitalità e della misericordia.

Nonostante Nimrod, re di Babilonia, espulse Abrahamo dalla Babilonia, la Mishneh Torah del Maimonide (Capitolo 1) e molti altri libri, raccontano come egli vagò verso la terra di Israele e raccolse decine di migliaia di seguaci che capirono che l’unione al di sopra dell’odio è la chiave per una vita di successo. Quando arrivarono nella terra di Israele, egli era un uomo ricco e prospero, o come lo descrive la Torah, “Ed Abrahamo era molto ricco in bestiame, argento ed oro” (Genesi 13:2).

Abrahamo tramandò la sua saggezza a tutti i suoi discepoli e discendenti. Secondo il Maimonide “Abrahamo instillò la sua dottrina (dell’unione al di sopra dell’odio) nei loro cuori, scrisse libri sull’argomento ed insegnò a suo figlio, Isacco. Isacco insegnò a Giacobbe e lo nominò insegnante, affinché insegnasse… e Giacobbe il nostro Padre insegnò a tutti i suoi figli” (Mishneh Torah, Capitolo 1). Giuseppe, dalla parola ebraica osef (riunire/raggruppare) fu il principale discepolo di Giacobbe e si impegnò per mettere in pratica gli insegnamenti di suo padre. In Egitto il sogno di Giuseppe di unire tutti i fratelli sotto di sé divenne realtà e tutti ne beneficiarono. Questo fu il periodo di maggiore prosperità della permanenza degli ebrei in Egitto.

Come le circostanze ci sono diventate avverse

Tutto cambiò quando Giuseppe morì. Come avviene ogni volta nel corso della storia, quando gli ebrei hanno successo, il loro ego li vince e loro desiderano abbandonare la via dell’unione e diventare come le popolazioni locali. Questo abbandono è sempre l’inizio di una svolta verso il peggio, finché una tragedia o una prova ci obbligano a riunirci di nuovo. L’Egitto non fece eccezione. Nel Midrash Rabbah (Esodo, 1:8) è scritto che “Quando Giuseppe morì essi dissero ‘Permettici di essere come gli egiziani’. Poiché dissero questo, il Creatore trasformò l’amore che gli Egiziani provavano per loro in odio, come fu detto (Salmo 105) ‘Egli cambiò il loro cuore affinché odiassero il Suo popolo, affinché abusassero dei Suoi servitori’ “.

Nel Libro della Consapevolezza (Capitolo 22) è scritto anche più esplicitamente che se gli ebrei non avessero abbandonato il loro percorso d’unione, non avrebbero sofferto. Il libro inizia citando il Midrash che ho appena menzionato ma poi aggiunge “Il Faraone guardò i figli d’Israele dopo Giuseppe ma non riconobbe Giuseppe in essi”, cioè la qualità di radunare, la tendenza ad unire.

E poiché “Furono fatti nuovi volti, il Faraone proclamò nuovi editti su di essi. Vedi, figlio mio,” il libro conclude, “tutti i pericoli e tutti i miracoli e le tragedie provengono da te, per causa tua e per tuo conto”. In altre parole il buon Faraone ci si è rivoltato contro perché abbiamo abbandonato la via di Giuseppe, la via dell’unione al di sopra dell’odio.

Quando arrivò Mosè, egli sapeva che l’unico modo per salvare il suo popolo era portandolo fuori dall’Egitto, fuori dall’egoismo che stava distruggendo i loro rapporti. Il nome Moshe (Mosè), secondo il libro Torat Moshe (Esodo 2:10), deriva dalla parola ebraica moshech (tirare), perché egli tirò il popolo fuori dall’inclinazione maligna.

Ma anche dopo che egli lo tirò fuori, esso era ancora in pericolo di ricadere nell’egoismo. Il popolo ricevette il suo “sigillo” come nazione solo quando reintrodusse il metodo di Abrahamo dell’unione al di sopra dell’odio. Una volta impegnatosi ad unirsi “Come un solo uomo con un solo cuore” Israele fu dichiarato una “nazione”. Ai piedi del monte Sinai, dalla parola sinaa (odio), gli ebrei si unirono e lì coprirono il loro odio con l’amore. E’ allora che divennero una nazione ebraica, come è scritto nel libro Yaarot Devash (parte 2, drush n. 2), yehudi (ebreo) viene dalla parola yechudi (unito).

Il Faraone e Mosè dentro di noi

Sono passati molti secoli dallo svolgimento di questa storia epica ma sembra che abbiamo imparato molto poco dal nostro passato. Guardiamo i nostri valori attuali, siamo corrotti proprio come gli ebrei dopo la morte di Giuseppe. Con “corrotti” non intendo dire che dobbiamo evitare le cose piacevoli della vita. Né Abrahamo né Giuseppe praticavano l’astinenza in alcun modo. Con corrotti intendo che siamo spudoratamente egoisti, narcisisti e promuoviamo questi valori ovunque andiamo. Siamo arroganti, egocentrici ed abbiamo perduto del tutto la nostra essenza ebraica, cioè la nostra tendenza ad unirci. Di conseguenza, così come gli egiziani si rivoltarono contro gli ebrei quando essi abbandonarono la via di Giuseppe, il mondo oggi si rivolta contro di noi.

Il Faraone e Mosè non sono figure storiche; essi vivono dentro di noi e determinano i nostri rapporti di volta in volta. Ogni volta che permettiamo all’odio di governare i nostri rapporti, noi rafforziamo il Faraone dentro di noi. Ed ogni volta che facciamo uno sforzo per unirci, noi ravviviamo Mosè e la promessa di impegnarci ad essere “Come un solo uomo con un solo cuore”. Andrés Spokoiny, presidente ed amministratore delegato del Jewish Funders Network, ha descritto molto bene la nostra situazione in un discorso che ha fatto l’anno scorso: “Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una polarizzazione e ad una deturpazione senza precedenti nella comunità ebraica. Coloro che la pensano diversamente sono considerati nemici o traditori e coloro che non sono d’accordo con noi vengono demonizzati”. Proprio questa è la regola del Faraone.

Essere ebrei non comporta necessariamente l’osservanza di usi specifici o il vivere in un determinato paese. Essere ebrei comporta il mettere l’unione al di sopra di tutto il resto. Per quanto sia forte il nostro odio, noi dobbiamo elevarci al di sopra di esso ed unirci.

Anche ne Il Libro dello Zohar è scritto esplicitamente della somma importanza dell’unione al di sopra dell’odio. Nella porzione Aharei Mot, Lo Zohar dice “Vedi come è buono e piacevole che i fratelli siedano insieme. Questi sono gli amici quando siedono insieme e non sono separati gli uni dagli altri. Dapprima sembrano persone in guerra, che desiderano uccidersi a vicenda. Poi essi tornano ad essere in amore fraterno… E voi, gli amici che siete qui, dato che prima eravate nella tenerezza e nell’amore, d’ora in poi non vi dividerete… E grazie al vostro merito vi sarà pace nel mondo”.

Imparare dal passato

Ci sono state varie versioni della vicenda d’Egitto nella nostra storia. I greci conquistarono la terra d’Israele perché noi volevamo essere come loro, venerare l’ego. Abbiamo anche lottato con loro, dato che gli ebrei ellenizzati lottavano contro i Maccabei. Meno di due secoli dopo il Tempio fu distrutto per via del nostro odio infondato gli uni per gli altri. Siamo stati deportati ed uccisi in Spagna, quando abbiamo voluto essere spagnoli ed abbiamo abbandonato la nostra unione, e siamo stati sterminati in Europa, nel paese dove gli ebrei volevano dimenticarsi della nostra unione ed assimilarsi. Nel 1929 il Dott. Kurt Fleischer, a capo dei Liberali nell’Assemblea della Comunità Ebraica di Berlino, ha descritto accuratamente il nostro problema secolare: “L’antisemitismo è il flagello che Dio ci ha mandato per condurci insieme ed unirci”. Che tragedia è che da allora gli ebrei non si siano uniti.

Come se non fossimo in grado di imparare, oggi ci stiamo ponendo esattamente nella stessa situazione di sempre. Siamo diventati schiavi del nostro egocentrismo e della nostra arroganza e non vogliamo essere ebrei, cioè uniti. Stiamo permettendo al Faraone di regnare di nuovo. Cosa ci aspettiamo di buono da questo? Non dobbiamo più essere ciechi; dovremmo ormai saperlo.

In ciascuno di noi c’è un Mosè, un punto che moshech (tira) verso l’unione. Ma dobbiamo incoronarlo volontariamente. Dobbiamo scegliere di liberarci dalle catene dell’ego ed unirci al di sopra del nostro odio. Questo può sembrare come una montagna invalicabile ma non ci si aspetta che ci riusciamo, dobbiamo solo essere d’accordo e fare lo sforzo. Proprio come gli ebrei furono dichiarati una nazione e liberati dall’Egitto quando accettarono di unirsi, anche noi dobbiamo solo accettare di unirci e gli altri ci seguiranno. Troveremo dentro di noi la forza e la capacità di unirci.

In questa Pasqua dobbiamo proprio passare oltre l’odio infondato, la rovina della nostra gente, e ripristinare la nostra fratellanza. Facciamone una Pasqua di riavvicinamento, riconciliazione e concordia.

Trasformiamo questa festa in un nuovo inizio per la nostra nazione. Mettiamo un po’ di seder (ordine) nelle relazioni tra noi e siamo ciò che dovremmo essere, “Una luce per le nazioni”, diffondendo il luccichio dell’unione nel mondo e tra i nostri fratelli. Se solo tentiamo, io so che avremo una buona Pasqua, una Pasqua di amore, unione e fratellanza.

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New Life #982 – Costruire una connessione tra le nostre differenze


New Life #982 – Costruire una connessione tra le nostre differenze
Il Dott. Michael Laitman in una conversazione con Oren Levi e Tal Mandelbaum ben Moshe

Riepilogo

A livello corporeo le persone sono simili nel loro sviluppo, ma a livello umano sono molto diverse l’una dall’altra. Ogni persona ha il suo mondo interiore, le sue opinioni, ecc. Ogni persona nasce diversamente dalle altre in modo tale che un potente sistema completo possa essere costruito attraverso il contrasto. Ogni persona ha una propria radice dell’anima così come le proprie inclinazioni innate, l’educazione e le influenze ambientali. Se tutte le persone ricevessero un’educazione simile, ci sarebbe una comprensione reciproca del valore di questa radice della loro anima. Invece di provare a cambiare gli altri, vedremmo come ottenere il massimo valore dalla connessione al di sopra delle nostre differenze.

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Dalla trasmissione di KabTV “New Life #982 – Costruire una connessione tra le nostre differenze”, 20/03/2018