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Lezione serale di Kabbalah del 13.06.2010

Lezione Virtuale di Kabbalah, Aprendo lo Zohar, Lezione 26
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Global Yeshivat Haverim
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Il lavoro interno del Kabbalista, 24.05.2010

L’uomo lo incontrò vagando per il campo e gli chiese: “Cosa cerchi?” Gli rispose: “Cerco i miei fratelli, dimmi, dove sono?”.

L’uomo che si perde nel cammino, che si è perso in questo campo della vita, non può continuare a vivere così. Egli cerca aiuto e persone simili a lui, i suoi fratelli.

Egli sente che deve trovare un altro cammino, non sul piano terreno, vivendo come un animale ma elevandosi al di sopra di questa vita al livello dell’uomo.

Per questo cerca coloro che sono pastori, ovvero coloro che governano i loro animali. Vuole unirsi a loro affinché diventino suoi fratelli e gli insegnino come essere un pastore, come elevarsi ad di sopra del suo animale.

“Il campo” (il desiderio) significa il luogo nel quale devono crescere i “doni della terra”, i risultati della vita. Nel campo pascolano “gli animali”, persone che non hanno uno scopo superiore, quelli che vivono solo qui e adesso;

ma, come posso trovare il cammino e riuscire ad essere “uomo” per ottenere “il pane” (le forze spirituali e la conoscenza) “dal campo” e dare “l’alimento” (la vita superiore) a tutto il mondo?

L’uomo piange a causa dell’animale interiore del quale deve liberarsi e salire al livello spirituale. Per questo gli è necessario un grande appoggio. Questo gli permette di aggrapparsi di più alla spiritualità che alla materialità che lo tira verso il basso.

Per questo io, per mia libera scelta, entro in un gruppo kabbalista, dove governa l’amore per gli amici, che vuol dire che non posso progredire senza di loro.

L’amore si ha quando ognuno sente che il gruppo è più importante di se stesso, è più importante del suo “asino”. Il gruppo è il suo “uomo” e con il suo aiuto può arrivare alla fusione con il Creatore, essere simile a Lui. Tutto ciò a condizione che si dia al gruppo per ricevere da esso le forze e potersi elevare al di sopra del suo asino, al livello dell’uomo.

La Luce che arriva attraverso il gruppo crea in mi quest’uomo. Il gruppo diventa il mio “corpo” e la Luce che lo riempie è la Luce della vita. L’unica maniera per ottenere ciò è l’amore verso i miei amici, quando li amo più di me stesso; perché loro sono la mia anima, le sue parti ed io sono solo un “asino”, il mio materiale. In questa maniera, sostenendoci reciprocamente, possiamo diventare uomini.

Le forze che impediscono la tua unione con gli amici si chiamano “esilio”. Sentiamo questo esilio se vogliamo unirci al gruppo e non possiamo, perché dentro c’è il Faraone ed egli governa il popolo di Israele in me. A causa del fatto che ci sforziamo nell’amore per gli amici, saremo degni di uscire dall’esilio e ricevere la Torà, la stessa forza che ci unirà.

Tutta la storia del popolo di Israele in Egitto e dopo il suo pellegrinaggio nel deserto, è un racconto sulle tappe della correzione dell’uomo. Dalla prima tappa, dal suo iniziale punto spirituale, fino al raggiungimento del desiderio “Israele” (diretto al Creatore), la terra di Israele.

Lezione quotidiana di Kabbalah del 13.06.2010

Dal Libro dello Zohar: Capitolo “Vayetze”(E Giacobbe uscì), punto 34, lezione 5
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Rav Yehuda Ashlag: Prefazione al Commentario del Sulam, punto 67, lezione 20
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Rav Yehuda Ashlag: Introduzione allo studio delle Dieci Sefirot , punto 54, lezione 16
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Rav Baruch Ashlag : Dagli scritti di Rabash, Shlavei ha Sulam, Art.17- 2, pagina 50
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Chi sei tu: il povero o il ricco?

Lo Zohar, capitolo Vaikrà, punto 129: l’offerta del povero è la più leggera: due tortore o due picconi giovani. E se no, porta farina e allora è perdonato.

In questo momento, si manifesta e si dichiara: “Poiché Lui non ha disprezzato né disdegnato la miseria del povero”, poiché l’offerta del povero è la più encomiata.

Si tratta dell’uomo: con che grandezza di desiderio (Aviut) può lavorare per la dazione. Nella misura in cui si rivela il desiderio di ricevere piacere, prende le parti più grosse e più maldestre della sinistra, e se può lavorare con loro per la dazione, si chiama “il ricco”;

però, se può prendere le parti più piccole del suo desiderio – i desideri più deboli – e li sacrifica, vale a dire, le avvicina al Creatore, allora si chiama “il povero”. La parola “sacrificio” (Kurban) deriva dalla parola “avvicinare” (Lekarev).

In base a quale parte del desiderio di ricevere piacere l’uomo s’avvicina al Creatore, usandola per la dazione, lui viene denominato“il ricco” o “il povero”. “Il ricco” da di più, “il povero” di meno. Ognuno nella misura delle sue capacità di lavorare con il desiderio per la dazione.

“Il sacrificio” è il desiderio che prima io usavo per ricevere piacere, però adesso lo avvicino al Creatore trasformandolo così da ricezione in dazione. Per mezzo dell’uso di questo desiderio nuovo mi sono avvicinato al Creatore, ho fatto un passo in più sui gradini della scala.